Il 25 dicembre sarà il Natale di Cristo e il 23 è stato quello di Maometto. Questa coincidenza non avveniva da mezzo millennio e accade proprio quest’anno, il 2015, l’anno che passerà alla storia per Charlie Hebdo, il Bataclan e Valeria Solesin.
Il rilievo alla notizia viene proprio da Venezia – la città di Valeria e dei “valori non divisivi” dei genitori di Valeria – per bocca di Mohamed Amin Al Ahdab, il presidente della comunità islamica di Venezia che spiega come “chi sogna un noi contro voi ha già perso”. Ben 457 anni dopo, Cristianesimo e Islam si specchiano: Natale di Cristo e Natale di Muhammad, il Mawlud, a quarantott’ore di distanza l’uno dall’altro. Kamel Layachi, il rappresentante delle comunità islamiche del Veneto, dice “il presepe non ci dà fastidio” e lo fa nelle ore in cui gira per il mondo la notizia dei musulmani che, in Kenya, salvano la vita ai cristiani quando al- Shaabab assalta il bus nel quale si trovavano gli uni e gli altri.
I musulmani del pullman in Africa hanno detto ai fanatici affiliati ad Al-Qaeda “ammazzateci tutti musulmani e cristiani, oppure lasciateli andare”. E prima, quando dentro l’autobus si erano accorti di ciò che stava per accadere, si erano scambiati i vestiti gli uni con gli altri per confondere i carnefici. Scambiarsi i vestiti per scambiarsi la pelle, per proteggersi la vita. “O tutti o nessuno”, hanno detto. Prima della professione in un credo religioso è una bella professione di fede nella vita, di quella vita che viene prima di ogni credo religioso. Infatti, a ben pensarci, cosa avevano in comune i salvatori musulamani con le vittime predestinate cristiane? La vita. Stessa patria, stesso pullman, stesso viaggio. Forse stesso luogo di lavoro, stessa guerra, stessa fatica di vivere. Stesso biglietto, stesso diritto di vivere. O tutti o nessuno. Musulmani che non si sentivano “altro” – diversi – rispetto ai cristiani. Bella professione di fede.
Tutto ciò che è profondamente umano non può offendere, turbare, né un cristiano né un musulmano. Non erge muri ma è profondo e fondo come le fondamenta di un ponte. Gettare le basi per costruire. Con piccoli gesti, piccoli come un tenace filo d’erba. Piccoli come una frase di auguri. Così dice il figlio di Layachi: “fare gli auguri è un gesto di rispetto”. E questo piccolo rispetto espresso in un piccolo augurio, si conquista la prima pagina della nostra coscienza.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffingtonpost