Senza alcun dubbio, in Europa – il continente di Platone e Aristotele, di Tommaso D’Aquino e Francesco d’Assisi, di Hobbes e Locke, di Galileo e Macchiavelli, di Voltaire e Rousseau, di Maritain e di Luigi Sturzo, della rivoluzione francese e dei campi di concentramento – nessuno può uccidere in nome di Dio. Difatti, quel grido che abbiamo sentito durante la strage parigina – “Allah Akbar” (Dio è il più grande) – in quel contesto è un ululato fasullo che disprezza l’uomo e quindi Dio, il primo a esserne offeso. Tuttavia, bisogna prestare attenzione anche a qualcos’altro. Infatti, se in Europa nessuno dovrebbe uccidere nel nome di Dio, così nessuno allo stesso modo e alla luce dell’idea matura di libertà che i nostri padri ci hanno trasmesso, dovrebbe offendere qualsiasi altro sino alla ripetuta, radicale, blasfema e volgare bestemmia.
La libertà, a partire da un lato dai giganti del pensiero europeo che trova le sue radici in 2500 anni di storia dall’altro dall’interpretazione proposta dai redattori della costituzione italiana, non è mai semplice autonomia ovvero mera realizzazione di se stessi. Difatti, la libertà è insieme continuamente sia autonomia sia responsabilità. Se l’autonomia mi induce a tendere verso la piena realizzazione di me, la responsabilità mi invita a considerare l’altro. Questa è la fatica che ogni giorno tutti siamo chiamati a compiere nelle nostre vite. Di conseguenza dobbiamo chiederci se rispettare fino in fondo la libertà significhi permettere a chiunque organizzato, o meno, di offendere, bestemmiare, dissacrare, volgarizzare radicalmente le religioni, le persone, le idee e le condizioni altrui. È questo il metro della libertà occidentale? A mio parere, stando ai padri della cultura europea, non proprio.
Dunque, la vicenda tragica – da condannare senza nessun distinguo – che ha colpito la redazione di un giornale francese deve portarci a due esiti: 1) nessuno può uccidere né in nome di Dio, né in nome di un’idea o per altre cause; 2) nessuno in Europa dovrebbe intendere la libertà come libertinismo radicale, cioè possibilità di far quel che si vuole senza considerare minimamente l’altro.
Il tema è molto serio poiché rappresenta una questione fra le più rilevanti per il futuro della cultura Europea in dialogo con il mondo. In gioco ci sono vite umane, secoli di storia e l’integrazione-interazione multiculturale fra occidente e oriente, fra cristiani e musulmani. Senza un’idea chiara di libertà basata su autonomia e responsabilità, penso che la missione europea di integrare popoli e culture sia impossibile. Così, in fondo, la vicenda parigina ci dice che in realtà abbiamo perso noi stessi quello che di bello e buono possiamo dire al mondo non perché abbiamo la libertà o meno di offendere gli altri, ma più profondamente poiché abbiamo smesso di preoccuparci degli altri per rivolgere il nostro sguardo solo su noi stessi. Le vittime francesi si legano a tutte quelle “generate” dall’11 settembre in poi sia in Europa, sia in Afghanistan, Iraq, Palestina, Libia, Somalia, Nigeria, Egitto.
Imparare la lezione da questa tragedia della guerra senza confini e schieramenti visibili del post 11 settembre – la quale colpisce tutti, europei, cristiani, non credenti e musulmani che ritengono un abominio uccidere in nome di Dio – ci deve indurre a ripensare seriamente al valore su tutti gli altri che annunciamo al mondo: la libertà. I processi storico-culturali sono in continua riforma, ma la generazione di europei nata nel post 11 settembre deve intendere da queste tragedie che la libertà è sempre insieme, continuamente autonomia e responsabilità. Senza questa consapevolezza il rischio è quello di un’Europa muta, surclassata dagli avvenimenti poiché non più in grado di riferirsi ai suoi padri fondatori e di rigenerarsi per annunciare una visione del mondo per i secoli futuri. di Rocco Gumina
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