Categorie: Pax et Justitia

Se ti parlassi di una …. perfetta letizia! (terza parte)

La radice della gioia – Tutti noi possiamo trovarci in una tale situazione, possiamo essere noi stessi ad emarginare chi ha successo, chi è amato, chi riceve un premio. Tuttavia, constatare la nostra incapacità di gioire della gioia degli altri non deve essere motivo di meraviglia o di scoraggiamento. Può diventare occasione per nuovi passi di maturità, alla scoperta della radice della gioia.

Essa non si trova nelle cose che possediamo ma nell’autenticità delle nostre relazioni, prima tra tutte nella nostra relazione con Dio. Abele, Giuseppe, il figlio minore della parabola, erano amati “di più”, e vero; tuttavia anche Caino, anche i fratelli di Giuseppe, anche il fratello maggiore della parabola lo sono in un modo che è diverso perché diverse sono le persone ma non “quantitativamente” minore. E importante, dunque, penetrare il senso di questo “di più”, del mio “di più”. Il “di più” di ognuno è collocato nella personale relazione che ciascuno ha con Dio. Una relazione che non è condizionata né da limiti né da qualità personali.

L’Amore di Dio è infinito per ciascuno e nessuno può dire: Dio mi ama meno degli altri. É possibile dire, invece, Egli mi ama in un modo personale e quindi diverso dagli altri, irripetibile. Il problema nasce quando pensiamo che Dio ci ami di meno perché non abbiamo corrisposto alla sua grazia, perché non siamo stati generosi, perché non abbiamo fatto questo o quello, perché l’ambiente ci ha penalizzati, perché siamo stati oggetto di giudizio, ecc. In tutto questo corriamo solo il rischio di trasferire in Dio sentimenti che sono soltanto nostri. In Lui le cose stanno molto diversamente:

voi tutti assetati venite all’acqua, chi non ha denaro venga ugualmente; comprate e mangiate senza denaro e, senza spesa, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro patrimonio per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti. Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e voi vivre te. lo stabilirò per voi un’alleanza eterna, i favori assicurati a Davide

.

(/saia 55, 1-3)

 

Ma c’è di più: la consapevolezza del nostro nulla può predisporci a entrare in un nuovo rapporto con Dio, un rapporto non è governato dalla dinamica del merito e del premio, ma reso evidente dalla gratuità del dono e dell’amore. La gioia vera nasce qui. Essa è comunicabile agli altri, anzi urge nell’animo fino a diventare un canto, una danza, come per Maria che la condivide con la cugina Elisabetta facendola diventare servizio e lode:

In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore».

Allora Maria disse:«L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre».  Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua. (Luca 1, 39-56)

 

di padre Francesco, OMI

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