Secolarismo, divisioni sunniti-sciiti, lo Stato islamico cancellano i cristiani dal Medio oriente

L’islam non può contribuire alla pace, se non risolve prima i conflitti interni e le divisioni fra sunniti e sciiti. La barbarie dello Stato islamico ha imposto la pace “dei cimiteri”. Si fa sempre più concreto il rischio di una fine dei cristiani d’Oriente. Alla minaccia esterna dell’estremismo islamico si sommano il secolarismo e le divisioni politiche che erodono la comunità dall’interno.

Come appaiono lontani i tempi in cui montava l’indignazione contro le parole di papa Benedetto XVI, il quale sembrava aver dato il proprio sostegno agli apologeti che associavano l’islam alla violenza, mentre il Pontefice non faceva altro che riprendere una citazione di Manuele II Paleologo. Repressa dalla verità ufficiale, questa violenza appare oggi in tutta la sua portata su YouTube, sotto forma di persone torturate mediante crocifissione, di intere popolazioni private dei propri beni e cacciate dalla loro terra, di donne violentate e vendute, di prigionieri prima torturati e poi decapitati. È ormai compito dei musulmani, allarmati per la crescita dell’islamofobia, mobilitarsi e confutare quello che tutti – in particolare l’Occidente condizionato dalle notizie riportate sui media – affermano ormai essere “il vero volto dell’islam”.

I quattro militari e poliziotti libanesi assassinati dalle milizie del fronte di Jahbat Al-Nusra e il gruppo Stato islamico già in posizione, a due passi dalle nostre frontiere orientali, sono un segno evidente che questa questione, fondamentale per il futuro della regione, non ci risparmierà nel presente prossimo.

In realtà, non lo è già da oggi. Il muftì della Repubblica, lo sceicco Abdel Latif Deriane, ha partecipato in questi giorni a un incontro in programma a Riyadh, in Arabia Saudita, incentrato sul tema: “I criteri dei conflitti all’interno dell’islam e la loro applicazione contemporanea”, un tema che racchiude collegamenti diretti con la più stretta attualità. Egli aveva peraltro appena partecipato a una “Conferenza contro l’estremismo e il terrorismo” organizzata dall’università egiziana di Al-Azhar, al Cairo, a pochi giorni di distanza dall’appello lanciato da papa Francesco al rientro della visita in Turchia, che chiedeva a gran voce di “condannare questa violenza che nuoce all’islam stesso”.

Padre Fadi Saou, fondatore dell’associazione Adyan, e Mohammad Sammak, co-presidente del Comitato nazionale per il dialogo Islamo-cristiano, sono da poco rientrati da un viaggio ad Abu Dhabi, dove hanno partecipato ad un Forum per la promozione della pace all’interno delle società musulmane. Una delle massime autorità del mondo musulmano, lo sceicco Abdallah el-Bayyah, nel corso del suo intervento ha lanciato una sfida ai propri correligionari, usando queste parole: “L’islam non può contribuire alla costruzione della pace all’esterno del mondo musulmano, sino a che non sarà stato in grado di realizzarla all’interno di sé”. Il monito vale, in special mondo, per le divisioni fra sunniti e sciiti.

Non si potrebbe presentare la questione in modo più chiaro. Tutto questo emerge con chiarezza nei territori della Siria e dell’Iraq controllati dalle milizie dello “Stato islamico”, Basandosi su una legislazione appartenente a un’altra epoca, questo gruppo ha voluto ripristinare la fede islamica in tutta la “sua purezza”. Tuttavia, esso non è riuscito a far altro che instaurare una nuova barbarie, una galassia in cui gli sciiti sono equiparati ai cristiani, agli Yazidi e alle altre minoranze, e finiscono per pagare lo stesso prezzo. La sola pace che il gruppo è riuscito a imporre è quella dei cimiteri. Dimenticate la clemenza, la misericordia, la magnanimità, virtù che l’Occidente ha associato in alcuni casi alla civiltà araba. Ciò che resta è solo il terrore, che diventa strumento di una giustizia suprema. Tutto il contrario del principio della “umanizzazione del mondo”.

Alcuni hanno voluto mettere questo tipo di tirannia nel novero della “natura” degli arabi, i quali sarebbero peraltro “refrattari alla democrazia”. Secondo un principio di puro razzismo. Parlare in questo modo, vuol dire ignorare in pieno la storia, la quale annovera non solo dei progressi, ma anche dei momenti di regressione. Di contro, pensare la storia in modo diverso, significa cullarsi nel positivismo più beato.

Del resto, gli arabi sono ben lungi dall’essere la sola parte in causa. Un attento osservatore potrebbe trovare molti punti in comune fra le politiche promosse o adottate dal gruppo “Stato islamico”, dall’Iran, da Israele, da al Qaeda e dai Fratelli musulmani: la stessa ricerca dell’omogeneità ideologica e culturale, gli stessi giochetti in tema di diritti umani e libertà, il medesimo razzismo di ritorno, la stessa ricerca di un dominio assoluto sulla persona, la stessa volontà di accentramento del potere statale, la stessa intolleranza e il medesimo imperialismo. Gli esempi provenienti dagli altri continenti abbondano in modo eguale.

Considerando la spirale di violenza che sembra imperare – difatti il re di Giordania non ha avuto il minimo dubbio nel parlare di una “Terza guerra mondiale” – si moltiplicano le voci dai toni foschi che annunciano la fine del cristiani d’Oriente. Nel frattempo al Cairo così come a Riyadh, e in tutti gli Areopaghi del mondo musulmano moderato, si chiede con insistenza ai cristiani del mondo arabo di restare nella loro terra e di non fuggire.

“Cacciare i cristiani dalle loro case è un crimine gravissimo” si legge all’interno della dichiarazione finale della conferenza di al-Azhar. “Noi rivolgiamo loro un appello – continua il documento – perché restino nella loro patria, per cacciare tutti assieme questo estremismo. Respingiamo al contempo la soluzione dell’emigrazione, la quale porta a compimento finale gli obiettivi dell’aggressore e sparge lacrime sulla nostra società civile”.

Pur non volendo dubitare della buona fede che vi è dietro questo appello, né al tempo stesso la fermezza della condanna dell’estremismo fatta dall’imam di al-Azhar, lo sceicco Ahmad el-Tayeb, il miglior consiglio che ci sentiamo di dare agli strenui difensori di questa posizione, è di fare in fretta, prima che altre parti del mondo arabo si svuotino anch’esse dei loro cristiani, come si sono già svuotate nel recente passato la piana di Ninive, Mosul e Qaraqosh. O come finirebbe per svuotarsi il Libano, se alcuni elementi che promuovono le divisioni confessionali continueranno a proibire a volenterosi soccorritori – come è già successo non più tardi di qualche giorno fa – di fare il loro ingresso all’interno di una moschea, con il pretesto che la loro divisa porta le insegne della Croce Rossa.

Inoltre, è noto che i Siro-cattolici hanno appena tenuto il loro sinodo annuale a Roma, non essendosi potuti riunire all’interno del territorio patriarcale, fra cui Baghdad e Damasco, ormai considerate a tutti gli effetti delle capitali in guerra, e persino anche all’interno del Libano stesso, dove alcuni vescovi della diaspora sono sempre più restii a farvi ritorno. Durante il suo incontro in Vaticano con il patriarca Ignace Joseph III Younan, Papa Francesco ha incoraggiato i vertici siro-cattolici “ad adattarsi all’evoluzione della loro Chiesa”. E avrebbe forse potuto utilizzare parole diverse? Egli ha inoltre esortato e incoraggiato i cristiani che non hanno ancora ceduto alla prospettiva della fuga, di tenere duro e continuare a resistere. Ecco dunque che è arrivato il tempo dell’eroismo.

Tuttavia, le persecuzioni non sono certo il solo fattore di “scomparsa” dei cristiani d’Oriente. La Chiesa del nostro tempo deve affrontare due grandi nemici, afferma Giovanni Paolo II nel suo libro “Varcare la soglia della speranza”: a Ovest, il secolarismo; a Est, la persecuzione. In Oriente sembra che questi due elementi si coniughino. La persecuzione attacca i cristiani dall’esterno, mentre il secolarismo progressista li erode dall’interno. Dunque, i cristiani potrebbero così “scomparire” dal mondo orientale proprio per dissolvimento, senza dover abbandonare necessariamente il suolo natio. Per continuare a resistere, oggi sembra indispensabile essere due volte eroi.

Qualche tempo fa un sacerdote maronita, rammaricato non poco da questa situazione pur essendo un attivista colmo di zelo e un ardente patriota, parlando della propria Chiesa mi confidava che “la fine dei cristiani d’Oriente troverà la propria origine fra i cristiani stessi, a causa della loro rassegnazione, prima ancora che il loro annientamento possa arrivare per mano dello Stato islamico”. “Noi non siamo all’altezza della nostra presenza, della nostra missione” ha quindi precisato, deplorando “l’assenza totale di una strategia, l’indebolimento estremo del senso della missione, la timidezza, l’attaccamento al denaro e alla carriera” che, secondo lui, “minano nel profondo le Chiese orientali”.

L’amaro spettacolo della divisione politica dei cristiani e il ricordo della guerra civile che spesso ha trovato gli uni frapposti agli altri, è un elemento ulteriore a conferma di questa diagnosi improntata al pessimismo. Ecco dunque che, da oltre sette mesi, il Libano è senza presidente, per colpa di un mancato accordo politico che, prima di tutto, emerge all’interno del fronte cristiano stesso; il tutto in un Paese, il Libano, unico in tutto il Medio oriente e nel mondo arabo, in cui il capo di Stato è, per prassi costituzionale, un cristiano.

Le passioni che lacerano le Chiese e le comunità di cui esse ne rappresentano le emanazioni socioculturali e politiche rappresentano, per così dire, “dei nemici interni” altrettanto spietati, come lo sono quanti mutilano le loro anime decapitando i prigionieri davanti a una telecamera. E di questo bisognerà tornare a parlarne, in un giorno non troppo lontano.

Di Fady Noun

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