Sancta Sedes

Seconda predica di Quaresima in Vaticano: fare del bene senza voler bene, è solo carità ipocrita!

Nella seconda predica di Quaresima in Vaticano, alla presenza del Papa e della Curia Romana, il cappuccino ha parlato delle virtù cristiane, soffermandosi sulla carità
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Giada Aquilino – Città del Vaticano

La santità cristiana consiste nella “imitazione” di Cristo e nella “perfetta unione” con il Signore. Parte da questo concetto padre Raniero Cantalamessa nella seconda predica di Quaresima nella Cappella Redemptoris Mater in Vaticano, alla presenza di Papa Francesco e della Curia Romana. Il predicatore della Casa Pontificia prosegue così la riflessione sul tema: “Rivestitevi del Signore Gesù Cristo” (Rm 13,14), La santità cristiana nella parenesi paolina”, soffermandosi sul senso dell’amore cristiano.

Le virtù cristiane

A proposito della Lettera ai Romani, padre Cantalamessa osserva come San Paolo sottolinei tutte le principali virtù cristiane, “o frutti dello Spirito”: “il servizio, la carità, l’umiltà, l’obbedienza, la purezza”. Il predicatore si concentra sulla carità, intesa come “forma di tutte le virtù”, che si traduce in amore, gioia, pace. L’Apostolo delle genti specifica: “La carità non abbia finzioni”; cioè – aggiunge padre Cantalamessa – sia “senza ipocrisia” e l’amore sia “vero, autentico, non finto”. Perché, secondo gli insegnamenti di Gesù, il cuore è “il ‘luogo’ in cui si decide il valore di ciò che l’uomo fa”.

“Possiamo parlare di un’intuizione paolina, a riguardo della carità; consiste nel rivelare, dietro l’universo visibile ed esteriore della carità, fatto di opere e di parole, un altro universo tutto interiore, che è, nei confronti del primo, ciò che è l’anima per il corpo”.

La carità, radice e fondamento di tutto

La carità – spiega il cappuccino – “è paziente, è benigna, non è invidiosa, non si adira, tutto copre, tutto crede, tutto spera”: quindi “nulla che riguardi, per sé e direttamente, il fare del bene, o le opere di carità, ma tutto – aggiunge – è ricondotto alla radice del volere bene. La benevolenza viene prima della beneficenza”.

San Paolo quindi spiega che il più grande atto di carità esteriore, “il distribuire ai poveri tutte le proprie sostanze”, non gioverebbe a nulla, senza la carità interiore e “sarebbe l’opposto della carità sincera”. La carità ipocrita, aggiunge padre Cantalamessa, è infatti “proprio quella che fa del bene, senza voler bene, che mostra all’esterno qualcosa che non ha un corrispettivo nel cuore”. In questo caso, si ha una “parvenza di carità, che può, al limite, nascondere egoismo, ricerca di sé, strumentalizzazione del fratello, o anche semplice rimorso di coscienza”.

“Non si tratta, dunque, di attenuare l’importanza delle opere di carità, quanto di assicurare a esse un fondamento sicuro contro l’egoismo e le sue infinite astuzie. San Paolo vuole che i cristiani siano ‘radicati e fondati nella carità’, cioè che la carità sia la radice e il fondamento di tutto. Quando noi amiamo ‘dal cuore’, è l’amore stesso di  Dio ‘effuso nel nostro cuore dallo Spirito Santo’ che passa attraverso di noi. Diventare ‘partecipi della natura

divina’ significa, infatti, diventare partecipi dell’azione divina, l’azione divina di amare, dal momento che Dio è amore. E’ l’amore di Dio che passa attraverso di noi”.

Credenti considerati corpi estranei alla società

L’Apostolo Paolo mostra poi come l’amore sincero debba tradursi in atto nelle situazioni di vita della comunità. Quella cristiana di Roma è – osserva padre Cantalamessa – “una minuscola isola nel mare ostile della società pagana”: “sappiamo – prosegue il predicatore – quanto, in simili circostanze, sia forte la tentazione di chiudersi in se stessi, sviluppando il sentimento elitario e arcigno di una minoranza di salvati in un mondo di perduti”.

“La situazione della comunità di Roma descritta da Paolo rappresenta, in miniatura, la situazione attuale di tutta la Chiesa. E non parlo delle persecuzioni e del martirio a cui sono esposti i nostri fratelli di fede in tanti Paesi del mondo; parlo dell’ostilità, del rifiuto e spesso del profondo disprezzo con cui non solo i cristiani, ma i credenti in Dio – tutti i credenti in Dio – sono guardati in una società secolarizzata, specialmente in certi strati di questa società, quelli più influenti: quelli dei media, della finanza e della cultura. I credenti sono considerati dei corpi estranei in una società tecnologizzata, evoluta”.

La signoria di Cristo

Si tratta di capire, va avanti il predicatore, quale sia “l’atteggiamento del cuore da coltivare nei confronti di una umanità che, nel suo insieme, rifiuta Cristo”: quello – rivela – di una “profonda compassione” che porta ad amarli e soffrire per loro, “a farsene carico davanti a Dio, come Gesù si è fatto carico di tutti noi davanti al Padre”, con un atteggiamento di misericordia. Per quanto riguarda i rapporti all’interno della comunità, per “gestire i conflitti di opinioni che emergono tra le diverse sue componenti”, il predicatore ricorda che “le esigenze della carità che l’Apostolo inculca in questo caso ci interessano in sommo grado perché – chiarisce – sono le stesse che si impongono in ogni tipo di conflitto intraecclesiale, compresi quelli che viviamo oggi, sia a livello di Chiesa universale sia della comunità particolare in cui ognuno vive”, come ad esempio le parrocchie. San Paolo fornisce tre criteri: seguire la propria coscienza, rispettare la coscienza altrui e astenersi dal giudicare il fratello, evitare di dare scandalo. A questi, se ne aggiunge un altro “universale e assoluto, quello della signoria di Cristo”.
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