Ci sono notizie destinate a restare nell’ombra, ad avere poca visibilità perché riguardano temi considerati spesso marginali o secondari anche se in molti casi ben rappresentano tendenze più ampie. Per farsi un’idea di come la Libia stia sprofondando nell’oscurità dell’islamismo può essere utile seguire le notizie…calcistiche. Le autorità sportive di Tripoli hanno infatti vietato alla nazionale femminile di calcio di partecipare al torneo in programma in questi giorni in Germania. La Federazione libica ha motivato la sua decisione con il Ramadan, dopo che la squadra è stata costretta ad allenarsi in località segrete protetta da guardie armate per le minacce ricevute dagli estremisti religiosi. “La Federazione ha detto che non possiamo giocare in Germania per il digiuno – ha detto al Guardian la centrocampista Hadhoum el-Alabed – noi vogliamo andare, ma ci hanno detto che non possiamo”. La squadra libica avrebbe dovuto giocare contro quelle di Egitto, Giordania, Libano, Palestina, Tunisia e Germania nel torneo “Discover Football”, istituito dal governo tedesco e considerato il più grande raduno di calciatrici del Medio Oriente. El-Alabed ha sottolineato come il divieto abbia mandato in frantumi le speranze di cambiamenti nella società libica dopo la caduta del regime di Muammar Gheddafi.
La condizione femminile rappresenta un importante indizio dell’involuzione della Libia anche sul piano politico. Il Parlamento libico, nel quale il 20 per cento dei seggi è occupato da donne, ha approvato la legge che istituisce la commissione che dovrà scrivere la nuova Costituzione che probabilmente vedrà ulteriormente rafforzato il peso della sharia. La rappresentanza femminile all’interno della commissione è stata ridotta al 10 per cento, sei donne su 60 seggi. Hana Al Qalall, professoressa di Diritto Internazionale presso l’Università di Bengasi, ha dichiarato all’agenzia Agi che “questa sconfitta è dovuta all’arrivo di deputati che non credono nei diritti delle donne, non le considerano come un vero partner nel processo di transizione democratica e cercano di escluderle dalla scena politica usando un metodo assimilabile alla discriminazione razziale”.
Parlare di istituzioni in Libia è del resto difficile, considerato che parlamento, sedi governative, ministeri vengono spesso occupati da milizie armate e tenuto conto che il governo non ha nessun controllo sul territorio e su quanto avviene nel Paese. Secondo le Nazioni Unite in Libia scorrazzano liberamente oltre 200 mila miliziani, mentre fonti d’intelligence citate da “Il Foglio” riferiscono di una crescente penetrazione di salafiti e gruppi legati alle varie anime di al-Qaeda. Il centro per la lotta al terrorismo dell’Unione africana considera che la Libia sia divenuta un importante snodo logistico e organizzativo utilizzato dai principali gruppi terroristici nordafricani e del Sahel. A questi traffici, riscontrabili soprattutto in Cirenaica e Fezzan, ma tangibili anche in Tripolitania, si sta aggiungendo l’afflusso dall’Egitto di molti militanti dei Fratelli Musulmani che temono di venire arrestati dall’esercito che ha assunto il potere al Cairo spodestando il governo islamista di Mohamed Morsi.
Come se tutto questo non bastasse il confronto politico tra l’Alleanza delle forze nazionali (liberal-democratici) e il Partito per la giustizia e la costruzione ( Fratelli Musulmani) si mescola alle tensioni tribali e alle interferenze di molti Paesi interessati a influenzare il futuro della Libia per lo più in termini negativi per l’Italia e l’Occidente. Roma, che dopo le pressioni degli Stati Uniti ha accettato anche la richiesta del G-8 a impegnarsi per la stabilizzazione del Paese nordafricano, è in prima linea in un’operazione già approvata dalla Nato per rafforzare le forze armate libiche. Circa 20 mila soldati e poliziotti verranno addestrati all’estero, a quanto sembra in Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna e Italia, che da sola accoglierà ben 5 mila reclute libiche.
L’Italia ha già da un anno insediato a Tripoli la missione addestrativa Cirene (finanziata nel 2013 con 7,5 milioni di euro) che addestra i poliziotti destinati alla protezione di aree “sensibili” come i siti petroliferi e i gasdotti ma in ambito Nato è stato deciso di effettuare all’estero il grosso della formazione delle forze libiche per non esporre istruttori e consiglieri militari ad attacchi terroristici. L’Italia sta inoltre trattando con Tripoli la cessione di equipaggiamenti militari incluse alcune centinaia di blindo Puma, tutte con circa dieci anni di vita ma ormai surplus per il nostro Esercito perché non sono protette contro mine e ordigni improvvisati.
Il vero limite del programma di sostegno militare al governo libico non riguarda però il numero di mezzi o di soldati da addestrare ma la loro ”qualità”. I militari e i poliziotti libici sono infatti per lo più ex miliziani attratti dai buoni stipendi ma la cui fedeltà alla nazione (e non alla tribù di origine) è tutta da verificare così come sarà difficile evitare l’infiltrazione di terroristi come è accaduto anche in Afghanistan. O nel vicino Mali dove delle quattro unità anti-insurrezione addestrate ed equipaggiate negli anni scorsi dagli statunitensi tre sono passate con i qaedisti che l’anno scorso invasero il Nord del Paese e la quarta ha fatto il golpe a Bamako. Insomma, meglio fare attenzione alle reclute libiche che porteremo in Italia per l’addestramento.
Gianandrea Gaiani
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