Sempre più armi “made in Italy” alimentano conflitti e regimi repressivi, in violazione della legge 185 “sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”. E’ quanto denunciato dalla Rete Italiana per il Disarmo a 25 anni dall’approvazione della legge, nel luglio del 1990. Gli affari più consistenti, nell’ultimo quinquennio, riguardano alcune delle zone più turbolente del pianeta, Medio Oriente in testa. In cima alla lista, Paesi come Arabia Saudita, Algeria e Siria. Un andamento che rischia di svuotare di senso la legge. Al microfono di Giacomo Zandonini, il coordinatore nazionale di Pax Christi don Renato Sacco:
R. – La 185 del ’90 è stato sicuramente un grande risultato ottenuto da tutto un movimento di società civile, religiosa… Pax Christi, Tonino Bello, il mondo missionario e tanti altri. In sintesi prevede non il massimo che si può sognare, cioè non si fanno le armi e non si vendono – questo, diceva don Tonino, sarebbe il sogno. Ma prevede che non si possano vendere, da parte del governo italiano, armi a Paesi in guerra o a Stati dove vengono violati i diritti umani, che è già un grosso passo avanti. Credo sia una legge avanzatissima sia a livello europeo sia a livello mondiale.
D. – A 25 anni da questa data, come ricorda però Pax Christi insieme ad altre associazioni della società civile, sembra che qualcosa non abbia funzionato…
R. – In questi ultimi anni c’è una caduta di trasparenza e c’è una volontà, ovviamente da parte di chi ha grossi interessi, ad allargare le maglie, perché se uno non può vendere le armi dove c’é la guerra è chiaro che si trova un po’ soffocato. In questi ultimi cinque anni, siamo tra i principali fornitori di Paesi coinvolti in guerra nel Medio Oriente. Dove c’è guerra noi siamo presenti. E da lì poi capiamo anche perché la gente scappa, scappano dalle nostre guerre e anche dalle nostre armi. Penso in questi giorni alla notizia che l’Arabia Saudita sta bombardando lo Yemen: le armi usate, le bombe utilizzate sono made in Italia, addirittura made in Sardegna.
D. – In questi giorni ricorre anche il triste anniversario del massacro di Srebrenica…
R. – Laddove c’è guerra l’industria delle armi fa grandi affari. Srebrenica, 11 luglio del ’95, più di 8 mila maschi uccisi: sicuramente l’Europa era distratta, forse complice, con grandi interessi anche nella vendita di armi. Io stesso ho fotografato contenitori di armi italiane che venivano usate dalle truppe serbo-bosniache per bombardare Sarajevo. E quindi eravamo in affari con chi bombardava Sarajevo, e poi siamo andati a bombardare quelli che bombardavano Sarajevo. Le armi sono un grande guadagno, a Srebrenica e in ogni altro luogo del mondo. Ricordare il massacro di Srebrenica vuol dire ricordare, come ci ricorda Papa Francesco in tutte le occasioni, che dobbiamo mettere le persone al centro, e non l’economia che uccide.
Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va)