R. – La 185 del ’90 è stato sicuramente un grande risultato ottenuto da tutto un movimento di società civile, religiosa… Pax Christi, Tonino Bello, il mondo missionario e tanti altri. In sintesi prevede non il massimo che si può sognare, cioè non si fanno le armi e non si vendono – questo, diceva don Tonino, sarebbe il sogno. Ma prevede che non si possano vendere, da parte del governo italiano, armi a Paesi in guerra o a Stati dove vengono violati i diritti umani, che è già un grosso passo avanti. Credo sia una legge avanzatissima sia a livello europeo sia a livello mondiale.
D. – A 25 anni da questa data, come ricorda però Pax Christi insieme ad altre associazioni della società civile, sembra che qualcosa non abbia funzionato…
R. – In questi ultimi anni c’è una caduta di trasparenza e c’è una volontà, ovviamente da parte di chi ha grossi interessi, ad allargare le maglie, perché se uno non può vendere le armi dove c’é la guerra è chiaro che si trova un po’ soffocato. In questi ultimi cinque anni, siamo tra i principali fornitori di Paesi coinvolti in guerra nel Medio Oriente. Dove c’è guerra noi siamo presenti. E da lì poi capiamo anche perché la gente scappa, scappano dalle nostre guerre e anche dalle nostre armi. Penso in questi giorni alla notizia che l’Arabia Saudita sta bombardando lo Yemen: le armi usate, le bombe utilizzate sono made in Italia, addirittura made in Sardegna.
D. – In questi giorni ricorre anche il triste anniversario del massacro di Srebrenica…
R. – Laddove c’è guerra l’industria delle armi fa grandi affari. Srebrenica, 11 luglio del ’95, più di 8 mila maschi uccisi: sicuramente l’Europa era distratta, forse complice, con grandi interessi anche nella vendita di armi. Io stesso ho fotografato contenitori di armi italiane che venivano usate dalle truppe serbo-bosniache per bombardare Sarajevo. E quindi eravamo in affari con chi bombardava Sarajevo, e poi siamo andati a bombardare quelli che bombardavano Sarajevo. Le armi sono un grande guadagno, a Srebrenica e in ogni altro luogo del mondo. Ricordare il massacro di Srebrenica vuol dire ricordare, come ci ricorda Papa Francesco in tutte le occasioni, che dobbiamo mettere le persone al centro, e non l’economia che uccide.
Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va)
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