Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – La trave e la pagliuzza. La trave: doveva essere proprio grande se ha impedito di vedere fatti così ripugnanti. Lo ha impedito non solo a chi sapeva perché messo a conoscenza dalle dirette interessate, ma pure a chi sapeva perché era cosa stranota.
Essere consapevoli e non voler vedere. La Hollywood che ha fatto propaganda militante contro Donald Trump e che, non rassegnata dopo la sua elezione, ha continuato a protestare e a contestare. La Hollywood che di Harvey Weinstein ha fatto più che un mito: Meryl Streep lo chiamava con sobrietà «Dio», prima di convertirsi ad altra religione e, a scandalo esploso, di qualificarlo «disgustoso». La pagliuzza: quella che Hollywood, insieme con i principali network, cerca meticolosamente nell’attuale presidente: vediamo se Donald e Melania si danno la mano quando scendono dall’aereo, se le dita non si sfiorano neanche vuol dire che lei è prigioniera dell’orco e lancia questo segnale al mondo libero… e variazioni sul tema. E ancora, la politica liberal Usa legata a Weinstein non solo per simpatia, ma pure per i suoi copiosi finanziamenti alle campagne elettorali: di Obama e di Hillary in testa. Singolare destino quello della signora Clinton: superato il trauma del sexygate del coniuge presidenziale, inizialmente da lei definito invenzione della destra repubblicana, eccola nel nuovo disagio di aver avuto come generoso sponsor il protagonista dell’attuale sexygate stars&stripes.
Perché un mondo che tiene a mostrarsi in prima fila nella denuncia delle ingiustizie e dell’arroganza ha scelto di essere cieco e sordo? Per le vittime possono esservi state ragioni di vergogna, di timore per il lavoro, di ritegno, delle quali non è elegante chiedere loro conto ex post: non è stato bello leggere, anche su giornali italiani, dileggi nei loro confronti, all’insegna del “se la sono cercata”. Ma gli altri? Jane Fonda, emblema progressista del cinema impegnato, a Bbc e a Cnn: «Avrei voluto essere stata più coraggiosa, mi vergogno»; perché è rimasta in silenzio, visto che sapeva da tempo? «Credo – così risponde – perché la cosa non mi riguardava direttamente»: alla faccia del femminismo e della dedizione alla causa delle donne!
Se Jane Fonda si gira dall’altra parte
È soltanto farsi i fatti propri per convenienza o c’è dell’altro? È che la trave è grande e grossa quando ha come radice l’ideologia: John F. Kennedy è ancora adesso un mito, il simbolo del nuovo che viene stroncato brutalmente nel pieno dell’impegno per costruire la pace; eppure in due anni e mezzo di mandato ha fatto in tempo a scatenare il conflitto in Vietnam e a giungere sulle soglie dello scontro nucleare con l’Urss (per non dire del grande rispetto che aveva verso le donne). Obama, un mito felicemente vivente, prima riceve il Nobel per la pace e poi provoca il disastro in Libia e sostiene i regimi che alimentano lo Stato islamico. Eppure il guerrafondaio è, ancora una volta, Trump.
La vicenda Weinstein, oltre a una misera storia di abusi sessuali, è il ritratto di un mondo convinto di essere superiore, di insegnare agli altri come si vive, di poter dare dello zotico al popolo se vota in modo difforme dai desideri del recinto liberal. Che non vuol convincersi che il male e il cedimento a esso non conoscono confini ideologici o di partito. Un mondo per il quale la violenza alle donne è solo quella dell’avversario ideologico ridotto a caricatura; che – quando è costretto ad ammettere ciò che l’evidenza urla – lo fa con finta meraviglia; che, proprio per questo, non si interesserà mai della quotidiana, vera, tragica sopraffazione di altre donne, dalle ragazze nigeriane alle cristiane del Pakistan, fino alle semischiave che vivono in Arabia. Se Jane Fonda si gira dall’altra parte per l’abuso a una collega della collina dorata di Los Angeles, perché mai dovrebbe essere toccata da ciò che succede in altri continenti? A Bbc e Cnn ha detto: «Noi abbiamo un presidente, Trump, eletto dopo aver dimostrato che era un abusatore. Chissà quanti, da allora, diranno: se lo fa lui, posso farlo anch’io». Traduzione: se uno dei principali finanziatori della campagna elettorale di Hillary ha usato per decenni violenza sessuale verso le donne che hanno avuto a che fare con lui, la colpa è di Trump e di chi lo ha eletto presidente degli Usa. La trave dell’ideologia è imponente: tanto che, insieme con la vista, toglie pure il buon senso.
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