Anche per la sessualità potrebbe valere quello che il primo ministro francese George Clemenceau diceva a proposito della guerra: una cosa troppo seria per lasciarla fare agli esperti. Soprattutto quando di sessualità si decide di parlare ai bambini, con l’ambizione di dettare le linee guida per i programmi scolastici di tutti i Paesi europei.
È questo l’intento del documento “Standard per l’educazione sessuale in Europa”, redatto dall’Ufficio regionale europeo dell’Organizzazione mondiale della sanità e che da qualche giorno sta infiammando associazioni e gruppi di genitori, in prima fila la Fondazione spagnola CitizenGo e Novae Terrae, guidata dall’ex parlamentare Luca Volonté. Un testo di 63 pagine in cui, dopo un’impostazione generale, si procede schematicamente illustrando come l’educazione sessuale vada impostata e insegnata ai bambini nelle diverse fasce d’età: dagli 0 ai 4 anni, dai 4 ai 6, dai 6 ai 9, dai 9 ai 12, dai 12 ai 15 e infine dai 15 in avanti.
Le premesse fanno ben sperare, considerando la matrice assolutamente laica e per così dire “tecnica” del testo (gli autori sono un gruppo di sessuologi e ginecologi di diverse nazionalità).
Punto di partenza è il desiderio di “sganciare” il tema dell’educazione sessuale dai potenziali rischi della sessualità, cioè dagli aspetti meramente negativi e preventivi (gravidanze indesiderate, infezioni, malattie) che tradizionalmente la connotano. Obiettivo: aprirsi a una visione «olistica» del tema, che comprenda la persona nel suo intero. «Si tratta di un’impostazione positiva – commenta un esperto del calibro di Michelangelo Tortalla, medico sessuologo clinico, membro della Federazione italiana sessuologia scientifica, dal 2003 al 2010 “collaboratore” nazionale dell’Ufficio Cei per la pastorale della famiglia insieme alla moglie Enrica prima con don Sergio Nicolli e poi con l’attuale direttore don Paolo Gentili – che si sforza di compiere un passo avanti rispetto al passato, non riducendo la sessualità a un singolo evento ma proponendola piuttosto come un “progetto” capace di coinvolgere la vita biologica, psicologica e spirituale di un individuo».
Altro punto fondamentale: il ruolo dei genitori «che – continua Tortalla – vengono coinvolti costantemente nel percorso educativo dei figli, come è sacrosanto che sia». Non solo dai genitori dipende la visione che i figli hanno fin dalla più tenera età della sessualità, ma sono loro i primi referenti della scuola nell’educazione sessuale secondo il documento dell’Oms, così come referenti devono essere «la comunità, le organizzazioni religiose e le altre agenzie che operano a contatto coi giovani».
Sorprendenti, poi, i passaggi che riguardano la spinosa questione del “genere” (in inglese gender), termine mai usato nel testo con l’accezione ideologica della teoria della “neutralità sessuale” (la teoria del gender, appunto). Gli esperti dell’Oms raccomandano che l’educazione sessuale tenga ben fermo il timone della differenza tra maschile e femminile, tanto da raccomandare «la separazione temporanea dei gruppi scolastici in base al genere di appartenenza e la designazione di una coppia di docenti composta da un uomo e una donna». Indicazioni all’apparenza scontate, ma che in alcune scuole italiane sono state messe in seria discussione negli ultimi mesi.
Tra il dire e il fare, tuttavia, nel documento dell’Oms scorre un oceano. E alle buone intenzioni annunciate in linea teorica ecco seguire indicazioni pratiche in molti casi discutibili, in altri addirittura esecrabili. «È il caso delle informazioni che andrebbero date ai bambini tra gli 0 e i 4 anni – continua Tortalla –. Si parte col buon senso: “corpi diversi e sessi diversi”, “differenza tra sé e gli altri”, “tenerezza e contatto fisico come espressioni di amore e di affetto”. Ma ecco comparire l’assurdità della “masturbazione infantile precoce” e, tra i 4 e i 6 anni, quella delle “relazioni tra persone dello stesso sesso”».
Come «assurdo è pensare – continua Tortalla – che nelle classi di asilo e alle elementari entri un esperto, una figura assolutamente “aliena” a quel mondo, a spiegare le prime rudimentali nozioni di sessualità. È evidente che l’argomento va affrontato con gradualità e rispetto dell’età dei bambini, che alle domande individuali (quando sorgono) è meglio rispondere individualmente e che proprio qui devono entrare in gioco i genitori e gli insegnanti: non può esserci una generica impostazione “di classe”».
Ancora più allarmanti le tappe del percorso previste per i gruppi di età tra i 9 e i 15 anni: «Qui si arriva a dire – spiega la sessuologa Paola Di Maria – che i bambini dovrebbero sapere come “utilizzare preservativi e contraccettivi correttamente in futuro” e più avanti, tra i 12 e i 15 anni, “come procurarseli”. Come se educazione sessuale significasse insegnare loro a mettersi il preservativo. È evidente che in questa seconda parte il documento manca completamente di quel senso “olistico” annunciato all’inizio e ripiega sugli interessi delle aziende farmaceutiche che in parte stanno dietro agli autori del testo».
La persona, qui, finisce per annaspare tra luoghi comuni e banalità, quando non addirittura sprofondare nei soliti ritornelli (laicisti, stavolta) sulla sessualità: il “diritto” all’aborto («ma quale diritto – domanda la Di Maria – alle ragazzine andrebbe insegnato che si tratta di una tragedia!»), il “coming out” («si vorrebbe insegnare ai ragazzi a svelare la propria omosessualità a 12 anni»), addirittura la fecondazione assistita. «Una visione della sessualità appiattita sulla biologia – conclude la Di Maria – e del tutto priva di orizzonti di significato veri». Di cui i nostri bambini – così sensibili e disorientati – non hanno davvero bisogno.
Viviana Daloiso
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