La Sharia, così come si è venuta sviluppando storicamente ed è ora intesa dai musulmani, si basa sulla concreta esperienza della comunità musulmana a Medina nel VII secolo. L’Islam nacque in un ambiente duro e violento e ricevette una reazione molto ostile e aggressiva da parte delle tribù arabe. I giuristi fondatori dell’ottavo e del nono secolo elaborarono la Sharia proprio attraverso tali fonti. I passi fondamentali del Corano e della Sunna e le disposizioni che i giuristi fondatori ne ricavarono devono essere considerati come conseguenze dirette del prevalere dell’uso della forza nelle relazioni internazionali dell’epoca.
In quell’ambiente era naturale che i giuristi musulmani identificassero “gli altri”, a cui fa riferimento il principio di reciprocità, esclusivamente con altri uomini musulmani. In altre parole, attribuendo a donne e non musulmani uno status inferiore e approvando un trattamento discriminatorio nei loro confronti, la Sharia negava lo stesso grado di rispettabilità e dignità umana che riconosceva, invece, ai musulmani maschi. L’inadeguatezza del diritto pubblico sharaitico può essere compresa e integrata solo tenendo conto dell’influsso del contesto storico.
Ciò che non può essere accettato è l’assunzione della Sharia come verità rivelate e non come espressioni contingenti di una vicenda che va analizzata con libertà critica e con una razionalità storiografica rigorosa, anche se non laica o secolarizzata.
La pretesa dei paesi arabo-islamici contemporanei di qualificarsi come tali, imponendo la Sharia ai propri cittadini, merita di essere criticata non in nome dei valori occidentali, ma in conformità a un’attenta rilettura del Corano e della Sunna, che non rifiuti pregiudizialmente i contributi del costituzionalismo e del rule of law occidentale.
La Sharia non è tutto l’Islam, ma è, invece, un’interpretazione delle sue fonti fondamentali alla luce di un particolare contesto storico. Se ci si rende conto che la Sharia è stata costruita dai suoi giuristi fondatori, è possibile pensare di ricostruirne alcuni aspetti, sulla base delle stesse fonti fondamentali.
Alle interpretazioni dell’Islam, codificate nel passato, sarebbe dunque stata attribuita eccessiva sacralità. Il Corano non può essere fonte di un corpus immutabile di norme giuridiche, perché ignorerebbe i problemi della società contemporanea nell’attuale contesto socio-culturale; nessuna generazione ha il diritto di interpretare il Corano e la Sunna per le generazioni successive e la riforma dell’Islam è considerata l’unico antidoto a tale problematica.
Finché il diritto pubblico sharaitico continuerà ad essere considerato come la sola valida versione del diritto islamico, molti musulmani saranno del tutto restii a criticare qualsiasi principio o regola della Sharia o ad opporsi alle sue applicazioni pratiche, per quanto ingiuste essi lo possano ritenere. Si tratta di un’esigenza urgente e cruciale, data la crescente richiesta d’identità all’interno del mondo islamico. Tale istanza tende sempre più spesso ad assumere le forme dell’integralismo e del ritorno ai canoni tradizionali della Sharia
Nonostante molti musulmani contemporanei contestino in privato la soppressione che la Sharia compie della libertà di fede e della libertà di espressione, solo pochi rendono note le proprie opinioni in pubblico, nel timore di essere stigmatizzati come apostati o come complici. Altri musulmani troverebbero difficile ammettere i loro dissensi, persino di fronte a se stessi, per il timore di perdere così la propria fede.
Il diritto pubblico islamico deve aprirsi ad alcuni aspetti fondamentali della modernità politica e giuridica, dal diritto penale proprio degli Stati democratici, al diritto internazionale e alla dottrina dei diritti umani in un moderno costituzionalismo. In questo modo è possibile trovare un equilibrio fra gli opposti diritti all’autodeterminazione dei musulmani e dei non musulmani e un miglioramento delle condizioni inerenti la parità di genere.
E’ necessario isolare i passi chiari e univoci del Corano e della Sunna del periodo medinese, riconoscendo che, ormai, hanno svolto la loro funzione transitoria, utilizzando i versi del periodo meccano, che al loro tempo non si prestavano a essere applicati, ma che, oggi, sono la solo strada da seguire.
Il riferimento a passi del Corano e della Sunna del periodo meccano e l’abbandono di quelli tematicamente corrispondenti del periodo medinese può essere risolutivo. Da un lato, consente di riscoprire i valori profondi del messaggio profetico di Maometto, e, dell’altro, rende il diritto pubblico islamico compatibile con i canoni moderni del costituzionalismo, della giustizia penale, del diritto internazionale e dei diritti umani. di Severis