Il Giubileo della Misericordia, che stiamo vivendo, riserva anche episodi particolari, come l’apertura di una Porta Santa senza chiesa. E’ avvenuto il 7 dicembre scorso a Rustavi, in Georgia, dove il vescovo, mons. Giuseppe Pasotto, amministratore apostolico del Caucaso dei Latini, ha benedetto una Porta Santa innalzata semplicemente su un prato.
Nella zona avrebbe dovuto essere costruita da tre anni una chiesa, mai edificata per un’incomprensibile mancanza di autorizzazioni da parte del sindaco della città. Sui significati di questa cerimonia sui generis, Giancarlo La Vella della Radio Vaticana ha intervistato mons. Pasotto:
R. – I significati sono diversi. Devo dire che l’idea di questa Porta è nata nel dialogo con i sacerdoti. Abbiamo voluto costruire questa Porta sul terreno, in cui da anni vogliamo costruire una chiesa dedicata proprio alla Divina Misericordia. E questo per tanti motivi: abbiamo tutti i permessi, ma non riusciamo a farla. E’ un vero problema riuscire a costruire questa chiesa. E’ stato intanto un segno per noi: la Misericordia richiede sempre pazienza, chiede di spostare i programmi qualche volta, di essere disposti ad accettare un futuro che non aspettiamo, altri modi di vedere… Questo è stato il primo motivo quindi, però il secondo è stato anche quello di dare un segno al mondo civile, perché la Misericordia va assieme anche con la giustizia. Allora è anche un richiamo per le autorità, un richiamo per la società. Nella lettera ai fedeli, ho scritto: “Immaginate che noi tutti siamo davanti ad un porta, la Porta della Misericordia, dobbiamo aprirla e cosa troviamo dopo? Non troviamo niente! Non ci sono pareti, perché la Misericordia non ha pareti; non troviamo un tetto, perché la Misericordia ci fa vedere il cielo; non troviamo posti a sedere, perché la Misericordia ci chiede di muoverci; non ci sono i primi o gli ultimi posti, perché saremo tutti uguali”. Quest’immagine ci ha aiutato a capire il Mistero di Dio. Per questo è nata l’idea di questo segno.
D. – Un gesto, quindi, profondamente simbolico, che vuole dire anche che la vera Chiesa non è fatta solo di mattoni: prima ci vuole qualcos’altro. Come sta vivendo la comunità cattolica, una comunità di minoranza, questo Giubileo della Misericordia in un Paese come la Georgia?
R. – Abbiamo fatto un programma che ci impegnerà molto. Non abbiamo voluto assolutamente “buttar via” questo anno, anzi posso dire che sono contento che sia molto impegnativo. Sono cose che ci aiuteranno nel lavoro. Io penso che sia prima di tutto un impegno personale: ognuno di noi deve avere un cuore misericordioso.
D. – Papa Francesco ha tenuto a sottolineare che questo Giubileo deve partire proprio dalle periferie. Dalla periferia dell’Est Europa, qual è il messaggio che idealmente lanciate a Roma?
R. – Una porta aperta è sempre una porta che lascia delle sorprese. Guardando a Roma, noi sappiamo che ci sono continuamente delle sorprese; ma anche da Roma, dal centro della cristianità, credo che il Santo Padre sia ancora più convinto che, guardando alle periferie, ci sono ancora più sorprese, anche se tra tante difficoltà. Qui abbiamo da affrontare la questione della comunione con la Chiesa ortodossa, con le altre confessioni. Adesso è doloroso pensare che noi siamo qui, rappresentanti di tante confessioni, ma non possiamo trovarci a pregare insieme. Quindi dobbiamo aprire qualche porta. Aprire porte! Aprire porte vuol dire aprirsi al futuro ed essere disponibili a capire che questo futuro sia il futuro deciso da Dio.
di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana