Il giovane abate del monastero di Mount Saint Bernard, racconta la sua conversione al cattolicesimo sulle note delle sinfonie di Mahler
,L’abate Erik Varden, che guida il monastero cistercense di Mount Saint Bernard, stupenda costruzione di Pugin, al centro d’Inghilterra, è il ritratto della felicità. «Una gioia che aumenta ogni giorno», racconta, «perché l’esperienza monastica mi radica nella realtà di me stesso, a volte difficile e anche umiliante, ma profondamente vera». Per arrivare a questa profonda pace interiore gli ci sono voluti circa trent’anni. Dal piccolo paesino di Degernes, fino a un liceo internazionale nel Galles, via l’università di Cambridge, l’Austria e anche Roma. Il suo viaggio è stato, come racconta lui stesso, «un progressivo scoprirmi a casa nella comunione della Chiesa».
«Soltanto nella mia famiglia di origine mi sono sentito davvero a casa e poi qui, nel primo monastero fondato in Gran Bretagna dopo la Riforma di Enrico VIII», spiega. Tutto è cominciato con una sinfonia di Mahler, quando Erik, a quindici anni, ha sentito, per la prima volta, la presenza di Dio.
Nato il 13 maggio 1974, e battezzato, nella Chiesa luterana, la fede fino ad allora non l’aveva toccato. Religiosissimo era il nonno paterno Arne, pastore protestante, e anche la nonna Hjørdis, seguaci di una tradizione pietista che teneva a distanza i piaceri della vita come peccaminosi. I genitori di Erik, però, si erano allontanati da tanta rigidità per diventare agnostici. «Nella mia infanzia la religiosità era stata ridotta al suo aspetto formale. Vista con rispetto, ma poco praticata perché sono cresciuto in un ambiente profondamente secolarizzato», racconta il monaco. «Soltanto mia nonna Hjørdis credeva, ma abitava a quattrocento chilometri di distanza e la vedevamo poco».
È nella letteratura che il futuro abate ritrova un cristianesimo più gioioso. «Un autore molto importante per me è stato il tedesco Hermann Hesse, autore di Siddhartha e Narciso e Boccadoro, ma anche Karen Blixen, la scrittrice di La mia Africa e Il pranzo di Babette, che in molti dei suoi libri sviluppa una tematica un po’ sacramentale, cattolica e mistica», dice l’abate. «Cercavo con urgenza un significato per la mia vita, pur immerso in un ateismo aggressivo tipico dell’adolescenza».
La sera in cui ha incontrato Dio, in casa non c’era nessuno ed Erik aveva deciso di ascoltarsi la Risurrezione, seconda sinfonia di Mahler. «La musica è sempre stata importantissima per me, quasi una lingua madre», commenta. «Un amico di mia sorella mi aveva consigliato questa particolare sinfonia che, nel suo ultimo movimento, comincia con l’evocazione di un caos primario mentre, gradualmente, un ritmo si impone».
«Non sei nato invano». «Non hai vissuto, sofferto, invano». «Risorgerai e vivrai». Quelle parole pronunciate dal coro nella sinfonia di Mahler furono, per il ragazzino e futuro monaco, come un fulmine. Un tuono che squarciava le tenebre. Una luce fortissima. «Era come se il mio cuore, all’improvviso, si aprisse a una certezza, quasi istintiva, che Dio esiste davvero. E alla consapevolezza che portavo, dentro di me, qualcosa che mi superava», racconta. Una nuova coscienza. Un momento di risveglio. Una ferita del cuore.
«Quando la musica è finita sono rimasto paralizzato», spiega Erik, «e ho pensato: “Sarà interessante pensarci domani quando questa mia sensazione sarà passata”». L’indomani, però, quella certezza rimaneva e, insieme, la ferita sempre aperta. «Così è cominciata la mia ricerca».
La prima tappa è l’Atlantic College, scuola superiore del sud del Galles dove, Erik si accorge che può parlare di religione perché credenti sono alcuni suoi compagni. Frequenta una chiesa anglicana ogni domenica. Scopre che esistono ancora i monasteri cristiani dei romanzi di Hesse. Decide di fare un ritiro, per una settimana, nell’abbazia trappista di Caldey Island. Un punto di non ritorno: perché, come spiega egli stesso, «lì ho trovato un tipo di vita che corrispondeva alla mia vocazione e ho deciso di diventare cattolico». È all’università di Cambridge, dove studia Teologia, che Erik entra a far parte della Chiesa cattolica. Anche se viene ufficialmente accolto con una celebrazione in Austria, nel monastero di Klosterneuburg.
A Mount Saint Bernard Abbey, non lontano dal college Saint John di Cambridge dove, il futuro abate decide di discernere la propria vocazione e, poi, nel 2002, fa il suo ingresso in monastero come novizio. Alla fine di quell’esperienza decide di rimanere, rinunciando alla carriera universitaria. «Attraverso la musica di Mahler, Dio mi ha ferito e mi ha ispirato un grande desiderio di conoscerlo e la mia vita è diventata un tentativo di rispondere a questa grazia primaria».
Dopo una tappa a Roma, dove approfondisce diversi studi, padre Erik decide di tornare tra le verdi colline inglesi e nel 2015 viene eletto abate.
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