Si è spento nella notte il cardinale Silvano Piovanelli, arcivescovo di Firenze dal 1983 al 2001. Aveva 92 anni. Era ricoverato al Convitto ecclesiastico del capoluogo toscano. Il Papa ha appreso “con tristezza” la notizia della morte del porporato “dopo lunga infermità, vissuta con animo sereno e con fiducioso abbandono alla volontà del Signore” scrive in un telegramma all’arcivescovo di Firenze, il cardinale Giuseppe Betori.
Francesco, che nei giorni scorsi aveva telefonato al cardinale Piovanelli per manifestargli il suo affetto e la sua vicinanza, esprime ai familiari e all’intera comunità diocesana la sua “profonda partecipazione al loro dolore”. “Penso con affetto – sottolinea – a questo caro fratello nell’episcopato, che ha servito con gioia e sapienza il Vangelo e ha amato tenacemente la Chiesa, ricordandone con gratitudine l’intensa opera pastorale”.
Anche il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha espresso il suo cordoglio per la scomparsa del porporato affermando che è stato un “punto di riferimento nella fede e per la vita della città”. Nato a Ronta di Mugello, figlio di un imbianchino e di una lavandaia, compagno di seminario di don Lorenzo Milani, Silvano Piovanelli viene stato ordinato sacerdote nel 1947. Il suo primo incarico pastorale, affidatogli dal Cardinale Elia dalla Costa, è stato quello di Vicario cooperatore di don Giulio Facibeni, il pievano di Rifredi, fondatore dell’opera della Divina Provvidenza “Madonnina del Grappa”. La permanenza a Rifredi lo ha messo, giovanissimo sacerdote nei primi anni del dopoguerra, dinanzi ai gravi problemi di una vasta e complessa comunità parrocchiale, nella periferia industriale di Firenze, che si stava sviluppando e strutturando intorno a due grandi fabbriche. Nell’ottobre 1948, veniva chiamato a assumere un incarico che avrebbe segnato profondamente la sua vita di educatore e di pastore: a fianco di don Enrico Bartoletti, per dodici anni, come vice-Rettore del Seminario minore. Sono stati gli anni di Giorgio La Pira, di Nicola Pistelli, di don Raffaello Bensi, gli anni intensi e fecondi del pre-Concilio.
R. – Sicuramente, il laicismo si impone in qualche maniera. E quindi sicuramente, da un punto di vista numerico, abbiamo una diminuzione, però – e questo bisogna ricordarselo sempre – non è il numero che conta. Sappiamo bene che quello che conta è lo spirito. Se ci si ricorda dei primi cristiani nelle città, erano dei gruppetti, eppure brillavano in un modo tale da dar luce a tutti. Io spero che sia lo stesso anche oggi: non è una questione numerica, è una questione di spirito, l’accoglienza dello spirito, di impegno personale.
D. – Firenze è la città dell’Umanesimo, che ha unito il cielo e la terra, il divino e l’umano. Nell’esperienza cristiana, è ancora attuale questo periodo culturale?
R. – A me sembra che questo sia molto importante: la pienezza dell’umanesimo è nel cristianesimo. Perciò l’uomo “totale” – si direbbe – l’uomo perfetto, è il Signore Gesù: Lui è veramente l’ideale dell’uomo a cui bisogna guardare, a cui bisogna ispirarsi e dal quale bisogna farsi condurre ed entusiasmare. E allora, il cammino dell’uomo diventa realmente un cammino non soltanto di verità e di amore, ma anche di speranza e di donazione per gli altri.
Sulla figura del cardinale Piovanelli ascoltiamo una dichiarazione dell’arcivescovo di Firenze, il cardinale Giuseppe Betori, rilasciata a Radio Toscana:
“Non possiamo dimenticare che il cardinale Piovanelli appartiene a quella costellazione di grandi figure sacerdotali che hanno caratterizzato il secolo XX della Chiesa fiorentina: la costellazione formata da Lorenzo Milani, Renzo Rossi, Danilo Cubattoli e tanti altri come loro. Davvero un grande dono per la Firenze del Novecento, che egli poi ha portato con sé in un’esperienza che si è travasata nel suo servizio come vescovo e arcivescovo di questa città. Da questo punto di vista, come arcivescovo, non possiamo dimenticare il suo Sinodo diocesano, che segna davvero una svolta dal punto di vista pastorale nella storia della Chiesa fiorentina, e le tante altre iniziative pastorali. Ma soprattutto – direi – la connotazione spirituale che egli ha saputo sempre dare alla sua presenza tra noi e che ha potuto quindi continuare a rifulgere in lui anche dopo la chiusura del suo servizio come pastore della Chiesa di Firenze per raggiunti limiti di età. Un uomo che davvero traeva dalle risorse spirituali della sua vita un alimento continuo per il suo rapporto con gli altri: con la società fiorentina, la società toscana, i fedeli e con i sacerdoti della diocesi. Tutto questo era continuamente alimentato da una profonda spiritualità. Da ultimo, mi piace dire che è stato un uomo grande di comunione nella Chiesa e nella società: sempre pronto a cercare i motivi di incontro, dialogo e relazione che aiutassero a vivere l’unità, a livello sia civile che ecclesiale, del popolo che gli era affidato. Siamo certi che il Signore lo accoglie nelle sue braccia, e che abbiamo già fin d’ora nel cielo un altro santo vescovo che intercede per noi”.
Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va)
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