Caritas et Veritas

Come si fa a vivere stabilmente alla presenza di Dio e possederlo dentro di sé?

Quesito – Buongiorno padre, ho letto la sua bellissima risposta pubblicata ieri http://www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=4342 che si ricollega a tante altre sull’importanza dell’arrivare a “possedere” Dio dentro di sè mediante la grazia santificatrice.

Ho trovato altre risposte sempre sul tema dell’importanza, ma non sono stata fortunata (sicuramente ce ne saranno ma probabilmente non ho trovato le giuste parole chiave da inserire) sul COME si fa ad arrivare a vivere stabilmente questa presenza, quali sono le azioni da seguire affinché si possa fare esperienza di questa inabitazione, unica a poterci saziare già in questa vita.
Sono certa che abbia già risposto in passato a mò di elenco puntato com’è nelle sue precise abitudini. Può per favore aiutarmi a individuare qualche risposta specifica già pubblicata?
Sempre grata, Alessia

Risposta del sacerdote

Cara Alessia,
1. non tutti sono chiamati a vivere l’inabitazione di Dio dentro di sé allo stesso modo.
Chi vive nella vita attiva non può vivere questa medesima realtà come lo può fare un monaco o una monca di clausura.

2. Intanto desidero ricordare che la perfezione dell’unione con Dio si realizza nella carità.
La carità è il principio vivificante della grazia e dell’unione con Dio.
L’ha ricordato San Giovanni quando ha scritto quelle sublimi parole: “Dio è carità, e chi rimane nella carità rimane in Dio e Dio in Lui” (1 Gv 4,16).

3. Se non si vive nella carità e pertanto se non si vive in grazia non si è ancora nelle premesse per poter possedere e gustare Dio nel proprio cuore.
L’ha detto il Signore nell’ultima cena: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).
Come si vede, la presenza personale di Dio è legata alla carità (se uno mi ama) e ad una carità che si esprime nell’obbedire al Signore e nel mettere in pratica le sue parole e i suoi comandi (osserverà la mia parola).
Se pertanto si disobbedisce ai precetti del Signore si perde la carità e l’unione con Dio.

4. Su questo concetto insiste San Giovanni nella sua prima lettera: “Da questo sappiamo di averlo conosciuto (in San Giovanni conoscere è l’equivalente di amare, n.d.r.): se osserviamo i suoi comandamenti.
Chi dice: «Lo conosco» (e cioè lo amo, n.d.r.), e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità.
Chi invece osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto. Da questo conosciamo di essere in lui. Chi dice di rimanere in lui, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato” (1 Gv 2,3-6).




5. Fatte queste necessarie premesse, vediamo adesso come si può vivere stando alla presenza del Signore, come Dio stesso aveva chiesto ad Abramo: “Io sono Dio l’Onnipotente: cammina davanti a me e sii integro” (Gn 17,1).
San Tommaso dice che questa presenza viene vissuta in modo diverso a seconda dello stato di vita in cui uno si trova.
Chi è nella vita attiva, dice San Tommaso, non potendo stare sempre con la mente unito a Dio e pensare alle sue parole e ai misteri della vita di Gesù (deve infatti pensare a quello che deve fare e sta facendo), sta unito al Signore nella disposizione dell’animo con la prontezza di allontanare o rimuovere subito da sé tutto ciò che contraria l’unione abituale col Signore.

6. Penso che questa fosse la perfezione della vita cristiana vissuta da Pier Giorgio Frassati. Il quale doveva tenere la mente impegnata nelle materie che stava studiando e di cui doveva sostenere gli esami. Doveva pensare a provvedere alle necessità materiali di molti e a tante attività con i suoi amici e compagni.
Eppure era pronto a rimuovere ciò che lo poteva dividere dal Signore.
Pertanto dalla sua bocca non usciva una mormorazione, soprattutto nei confronti delle persone assenti.
Alcuni dicono che se lui era presente, neanche si riusciva ad iniziare a fare maldicenza di qualcuno.
La stessa cosa valeva per le volgarità.
Certo un’unione così bella col Signore la poteva vivere solo se la preghiera aveva il giusto posto nella sua giornata. Per questo tutte le mattine andava a Messa o almeno faceva la santa Comunione. Tutti i giorni recitava il Santo Rosario che immancabilmente portava in tasca.
Fattosi terziario domenicano, recitava ogni giorno l’Officium parvum Beatae Virginis Mariae, si confessava almeno ogni settimana.
Non è diventato santo vivendo come un monaco, ma da laico, perché questa era la sua vocazione.

7. In un secondo modo si può raggiungere la perfezione dell’unione con Dio: pensando di continuo a Lui e vivendo dentro di sé i misteri di Gesù Cristo per quanto è possibile in questo mondo, dove si devono compiere anche azioni che non permettono di pensare sempre direttamente a Lui.
Questa seconda perfezione è quella che si raggiunge nella vita del claustrum, e cioè nella vita religiosa e ancor più nella vita monastica.
I religiosi infatti fanno professione di vita “religiosa” e cioè di una vita totalmente offerta Dio nella preghiera e nelle azioni loro proprie per il bene della Chiesa e delle anime.
La vita religiosa, proprio perché emancipa da tanti impegni di ordine temporale, permette un’unione esplicita più duratura e pressoché continua.

8. Vi è infine un terzo modo di vivere alla presenza di Dio, ed è quello proprio del Paradiso, dove il possesso sarà perfetto, continuo e la gioia infinitamente al di sopra di ogni gioia che si possa pensare o sperimentare di qua.

9. Quanto ho descritto con mie parole, traduce il pensiero di san Tommaso il quale dice: “La perfezione della carità si può intendere in due modi: da parte dell’oggetto amato (Dio) e da parte del soggetto che ama.
Da parte dell’oggetto amato la carità è perfetta quando esso è amato quanto è amabile. Ma poiché Dio è tanto amabile quanto è buono, e la sua bontà è infinita, ne segue che è infinitamente amabile. Nessuna creatura dunque può amarlo infinitamente poiché ogni virtù creata è limitata. Perciò in questo senso non può essere perfetta la carità di nessuna creatura, ma solo quella che con cui Dio ama se stesso.
Da parte del soggetto che ama, la carità è perfetta quando esso ama quanto gli è possibile amare. E questo si può verificare in tre modi:
Primo, perché tutto il cuore dell’uomo è continuamente concentrato in Dio. E questa è la perfezione che la carità raggiunge nella patria e che non è possibile in questa vita per la fragilità umana, che non permette di pensare continuamente a Dio e di amarlo senza interruzioni.
Secondo, quando l’uomo impiega ogni sua capacità nel tendere a Dio e alle cose divine, dimenticando tutto il resto, per quanto glielo permettono le necessità della vita presente. E questa è la perfezione della carità possibile in questa vita, sebbene non si realizzi in tutti coloro che possiedono la carità.
Terzo quando l’uomo mette abitualmente tutto il suo cuore in Dio in modo che non pensa a nulla che sia contrario all’amore divino. E questa è la perfezione comune fra coloro che vivono nella carità” (Somma Teologica, II-II, 24, 8).
La perfezione della carità in questa vita non è assoluta perché è sempre suscettibile di aumento” (Somma Teologica, II-II, 24, 8).

Ti auguro di raggiungere la perfezione dell’unione con il Signore secondo lo stato di vita in cui il Signore ti chiama.
Per questo ti ricordo nella preghiera e ti benedico.
Padre Angelo




Fonte www.amicidomenicani.it

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