Siamo tutti Schettino

Gli insoddisfatti per la pena a Schettino a causa della Concordia sono tantissimi, e io sono tra questi. Sei mesi a morto sono davvero pochi. Vorrei che il risultato finale fosse, e di molto, più vicino ai 26 anni e 3 mesi chiesti dall’accusa. Però percepisco che il brivido che mi accappona la pelle quando riascolto le telefonate tra Gregorio De Falco e Francesco Schettino, ha qualcos’altro da dirmi. Sento Schettino dire che è buio, che tentenna, che balbetta: ha la voce impaurita che il comandante di una nave non dovrebbe avere mai. Prima le donne e i bambini, il comandante affonda con la nave: sono frasi che sa ogni bambino al mondo, possibile che Francesco Schettino non le conoscesse?

Qui comincia la parte difficile del post, quella in cui ciascuno di noi deve scendere dal pulpito. Perché è difficile sentirsi affini a uno sbaglio, cioè alla parte vergognosa di un uomo e quindi di se stessi. È impopolare sforzarsi di stare accanto a un sentimento negativo: per questo ho avuto molte remore a scrivere che ognuno di noi può essere Schettino. Eppure credo di non essere migliore di lui.

Se io d’un tratto fossi di fronte al mondo, nudo, mentre compio un’azione che in tutto disdice ciò che sono e quello in cui credo, come mi sentirei? Non cercherei anch’io di scappare? Sono molto diversi i preti, i mariti, le mogli, i politici, gli imprenditori, che davanti all’agghiacciante evidenza di un enorme sbaglio scappano e non risalgono sul transatlantico che hanno trasformato in relitto, per cercare almeno di evitare che donne e bambini venissero picchiati? Per aver sbagliato la manovra dell’inchino all’Isola del Giglio ho causato 32 morti e 17 feriti e non dovrei aver vergogna?

Nessuno sa cosa farebbe in una situazione del genere. È la verità. Spero che non mi accada mai di vedere affondare la mia vita per colpa della mia stupidità. Io, lo confesso, non vorrei scoprire di che pasta sono fatto. De Falco mi ordina a parolacce di tornare sulla nave a fare il comandante: ma perché, mi chiedo, fino a lì ero davvero stato un comandante? Ripenso alla scena iniziale de Il gladiatore, quella in cui Tomas Arana dice “un popolo dovrebbe capire quando è sconfitto”: ricordate la risposta di Russell Crowe: “Tu lo capiresti Quinto, io lo capirei?”. Io lo capirei? Io starei sulla nave della mia vita che affonda non per una fatalità, per un errore di calcolo, per un nemico più forte, ma solo perché sono stupido, stupido, stupido?

Di Don Mauro Leonardi

Articolo tratto da L’Huffingtonpost

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