Padre Nostro che sei nei cieli… Gesù è stato chiaro, alla richiesta ‘’Insegnaci a pregare…”: nel Padre Nostro c’è tutto ed è tutto nella logica della preghiera. Capita, tuttavia, che nonostante l’altezza – indiscussa, naturalmente – della formula, sia essa il Padre Nostro, il Santo Rosario, o qualsiasi altro modo la Chiesa abbia dato di esprimere, si avverta una certa nostalgia del dialogo, una vaga percezione che ad ogni locuzione il cuore e la mente risultino più lontani delle labbra e che la preghiera, dunque, non scenda in profondità. Si tratti di distrazione, di incapacità a crearsi intorno e dentro il silenzio opportuno, talvolta si teme, indebitamente, che quel momento possa diventare ‘inutile’.
Posto che nel cuore di Dio la voce dell’uomo non è mai ‘inutile’, che gridi aiuto, che si innalzi nella lode, o che sillabi appena, è naturale, ad un certo punto del proprio percorso di fede, avvertire la necessità di una preghiera più adulta, più matura… Ineccepibile consapevolezza da buoni cristiani, che in piedi per l’autorevolezza del proprio Battesimo, sanno perfettamente dove, come, cosa e quando è bene modificare l’orientamento. Ed ecco, in agguato, la sindrome dell’inadeguatezza: le parole risultano vane, le richieste si centuplicano, si incanala la patetica via del compromesso (forse con se stessi, certo non con Dio…).
È il tempo dell’ascolto. La preghiera che dalla bocca sgorga come fiume in piena e non scalda il cuore, non basta, non “soddisfa”. Il Signore sa quali siano i nostri desideri e di che profondità sia il nostro bisogno di Lui e nel momento in cui le nostre labbra si fermano, quasi a supporre la paralisi dell’anima, parla.
Ed ecco la tenerezza di Dio manifestarsi in un dialogo che innamora sempre e per sempre, perché la Parola è il Figlio e l’Amore è lo Spirito. E le labbra del Re invitano a poggiare il capo sul Suo petto, perché Lui è lì e non aspetta altro. Le braccia del Padre Misericordioso, che ha gli occhi lucidi per la gioia, sono aperte all’infinito e per lo stesso infinito crolla persino la convenzione numerica delle famose “settanta volte sette…”. Non c’è cultura che tenga, quando Dio parla d’Amore.
«Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare; poiché io sono il Signore tuo Dio, il Santo di Israele, il tuo salvatore. Io do l’Egitto come prezzo per il tuo riscatto, l’Etiopia e Seba al tuo posto. Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo…» (Is 43,1-4)
«Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore…» (Os 2,21-22)
«Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi.
Quand’ero con loro, io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho custoditi; nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si adempisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico queste cose mentre sono ancora nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia…» (Gv 17, 11-13) …e si potrebbe continuare pagina per pagina.
Le parole di Dio non solo sono Parola, ineffabile per inspiegabile ossimoro, ma identificano il Suo stile, Lo definiscono, Lo conducono all’umanità – nella quale non si sente costretto, né ridotto – fino a premetterci di comprenderLo, di respirarLo, di ospitarLo nella nostra povertà che diviene, così, nutrita per amore, dignità di figli.
Ed ecco che la vita stessa si fa preghiera, perché si è colto l’invito all’ascolto. Dio parla, sempre, incessantemente, al cuore che desideri ascoltarlo: è sufficiente volgere gli occhi al Figlio.
In Gesù, il Verbo si è già fatto carne.
di Loredana Corrao
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