Simone Cristicchi dal Kenya ad Assisi: «La cura è amare l’altro». (Video emozionante)
L’ultima sana follia di Simone Cristicchi è aver trascorso una settimana in Kenya nella baraccopoli più affollata del mondo.
.Il cantante dice: «una delle tante coincidenze che da qualche tempo mi accadono. O forse dovrei dire Dio/incidenze. Come le chiama un’amica suora».
È appena tornato dall’Africa e ancora conserva lo stupore, «sono rimasto colpito dal vedere, con i miei occhi, sostegni economici che si trasformano davvero in qualcosa di concreto. Tra raccolte di fondi e numeri solidali a volte ti chiedi dove andranno a finire i tuoi soldi, invece lì ho toccato con mano: ah guarda, una cisterna di acqua potabile, ah guarda, una scuola colma di bambini che studiano, ah guarda, decine di piccolini in fila per essere vaccinati. Può sembrare scontato, ma percepire tra la gente il rispetto di cui godeva la maglietta che indossavo mi ha fatto capire che stavo facendo la cosa giusta».
La «cosa giusta» è aver aderito alla campagna di Amref (organizzazione sanitaria che dal 1957 lavora nel continente africano), per contribuire a una nuova narrazione dell’Africa, lontana dai soliti cliché drammatici, capace di raccontare realisticamente anche le grandi potenzialità e i passi avanti del continente. Una campagna sferzante fin dal gioco di parole del titolo, Non aiutateci per carità, «apparentemente l’invito paradossale a non dare una mano, in realtà l’ammonimento a farlo non per pietismo», spiega Cristicchi.
Un documentario
Da qui il viaggio in Kenya, con un cineoperatore che ha registrato le sue giornate per raccontare in un documentario le povertà, ma anche le storie positive e i grandi insegnamenti.
«Ad esempio mi ha commosso vedere l’amore che lì i bambini hanno per la loro scuola e l’uniforme, ne vanno fierissimi, sono letteralmente assetati di sapere. In famiglie povere che hanno nove o dieci figli, la strada è l’imbuto in cui spariscono, la scuola è il porto sicuro, il luogo in cui cominciare a edificare il sogno di cosa fare da grandi». Sogni, chissà perché, diversi nelle zone rurali rispetto ai centri urbani:
«A Nairobi i maschi vogliono tutti diventare meccanici, nelle campagne volano più alto, sono tutti futuri medici, piloti… È come se la città restringesse i desideri e la campagna li lasciasse spaziare». E poi c’è la grande lezione della “comunità”, del tessuto sociale che ancora tiene, persino nell’inferno di Kybera, baraccopoli di fango e lamiere con fogne a cielo aperto, dove girava scortato da soldati armati di mitra: «Alla fine anche lì se la cavano perché sono uniti».
Abbi cura di me
Sembra di sentire Abbi cura di me l’ultimo successo sanremese del cantautore romano, nel suo verso più struggente, «abbracciami se avrò paura di cadere, che siamo in equilibrio sulla parola insieme». E infatti l’hanno cantata nelle aule africane decine di bambini sorridenti, guardando nella telecamera e ripetendolo in coro, Abbi cura di me. «Questa è un’altra lezione positiva – continua Cristicchi –, la gioia di bambini che sarebbe normale se fossero arrabbiati con la vita. A una maestra abbiamo chiesto che cosa significhi essere un bambino in Africa e lei, con fierezza: che è nato in Africa e che vive in Africa, punto. La dignità nella povertà è l’insegnamento più grande».
Tommaso, 11 anni, e Stella, 7, a papà Simone hanno chiesto perché non abbia portato a casa qualcuno di quei piccoli. «Ho sentito che grande attaccamento c’è alla terra, alla cultura, al villaggio, loro vogliono restare lì, come chiunque al mondo vuole restare a casa sua, ed è stato bello percepirlo. Sradicare una persona e portarla qui è un po’ un delitto, aiutarli a restare dove sono non è uno slogan, è giustizia . Impossibile scindere il Cristicchi africano da quello che, da anni, percorre mille strade alla ricerca di un Oltre e di Dio.
Le sue parole prima di Assisi
Ieri è stato ad Assisi con il “Concerto per la Vita” a favore del Serafico: «Donare la voce per un istituto storico che si occupa di ragazzini ciechi e sordi dà un senso ulteriore al mio lavoro, ma mi aiuta anche nel mio cammino spirituale – spiega –. Grazie a Mogòl, che ha visitato il Serafico e ne è rimasto profondamente colpito, io e una quindicina di artisti ci esibiremo con un obiettivo alto. Cosa canterò? Certamente Abbi cura di me, perché è diventato strumento di vita per tante persone. Dopo Sanremo mi ha scritto una ragazza, Barbara, «sono in chemioterapia e questa canzone mi dà la forza per lottare», per me è stato come vincere un primo premio.»
Fonte avvenire.it – Lucia Bellaspiga