In un lungo colloquio con Vatican Insider, l’Avvocato cattolico parla del processo ad Asia Bibi e della situazione delle minoranze religiose in Pakistan.
Avvocato, il governo pachistano ha recentemente deciso di revocare la moratoria sulla pena di morte anche per i reati non terroristici. Ritiene che la vita di Asia Bibi sia in pericolo?
«Effettivamente dopo la revoca della moratoria, i condannati a morte vengono giustiziati. Ma per Asia Bibi speriamo ancora di ottenere la piena assoluzione. Sia il giudizio in primo grado che la condanna dell’Alta Corte di Lahore dello scorso ottobre non hanno minimamente considerato i fatti che hanno preceduto l’imputazione. L’intero impianto accusatorio si è concentrato unicamente sulle false accuse di blasfemia rivolte alla donna cristiana. Si vuole rendere Asia Bibi un capro espiatorio e trasformare il suo in un caso esemplare.
A ogni modo lo scorso novembre ho presentato ricorso presso la Corte suprema e dovrebbe essere preso presto in esame».
Lei ha difeso molti altri presunti blasfemi e 37 dei suoi clienti sono stati assolti. Cosa rende diverso il caso di Asia?
«È vero, ho difeso molti casi legati ad accuse di blasfemia, riuscendo a far scagionare un alto numero di imputati. Ma come ho spiegato, il processo di Asia è stato reso diverso dagli altri. Fatti e circostanze che hanno portato alla sua condanna rendono questo un simbolo, un caso di alto profilo, come testimoniano anche le uccisioni del governatore del Punjab Salman Taseer e del ministro per le minoranze Shahbaz Bhatti. Entrambi hanno perso la vita per difendere Asia».
Come vive Asia Bibi ora?
«Vado piuttosto frequentemente a trovarla nel carcere di Multan, dove è rinchiusa in una minuscola cella di isolamento, senza neanche poter vedere la luce del sole. Non le permettono mai di uscire per timore che possa essere uccisa da qualche fanatico o estremista».
Cosa significa essere un cristiano che lotta contro una materia così delicata quanto la legge anti-blasfemia?
«Da avvocato cattolico ho sempre considerato una benedizione avere la possibilità di difendere quanti sono perseguitati a causa di tale legge e resterò sempre fedele a questo mio compito nonostante la paura o le minacce. Non è un segreto che io abbia già subito cinque gravi attentati, in particolare dopo il mio coinvolgimento nel caso di Javed Anjum, un ragazzo cristiano torturato a morte nel 2006 per avere rifiutato di convertirsi all’islam. La mia famiglia e io siamo stati costretti a rimanere in casa, sorvegliati dalla polizia. In seguito mia moglie e i miei figli si sono trasferiti all’estero perché la vita in Pakistan era divenuta impossibile».
Un altro recente caso legato alla legge sulla blasfemia riguarda l’omicidio di Shama e Shahzad Masih, i due coniugi cristiani arsi vivi in una fornace di mattoni in Punjab. Crede che i colpevoli saranno assicurati alla giustizia?
«Grazie all’impegno del mio Ministero, per la prima volta lo Stato è parte querelante nel processo penale. È davvero una buona notizia perché in passato, se semplici cittadini i querelanti erano spesso costretti a ritirare le accuse sotto forti pressioni. Lo shock e la paura hanno spinto molti ad abbandonare il Pakistan. Per la morte di Shama e Shahzad sono state arrestate 96 persone che saranno processate presso il tribunale antiterrorismo di Lahore. A capo del processo vi è il giudice Haroon Latif, ed ho tutte le ragioni per credere che i colpevoli saranno assicurati alla giustizia».
Un’alta percentuale di cristiani è ridotta oggi in schiavitù nelle fornaci di mattoni del Punjab, come si può assicurare loro maggiori diritti?
«Generazioni di poveri cristiani sono vittime di questo tipo di lavoro forzato. Ci stiamo impegnando alacremente per tutelare i loro diritti, soprattutto quelli dei minori. Purtroppo le risorse di cui disponiamo non ci permettono di assicurare ai bambini un futuro migliore, ma stiamo lavorando per sottrarli al lavoro forzato e cercare di garantire loro un’infanzia, attraverso la salute e l’educazione».
Lei è recentemente riuscito a garantire che in Punjab la quota del 5% di impieghi nella pubblica amministrazione destinata alle minoranze sia riservata esclusivamente a esse. Perché è stato necessario un tale provvedimento?
«Il governo federale stabilisce che, in assenza di candidati appartenenti alle minoranze, i posti a loro destinati debbano essere mantenuti vacanti. Ma in Punjab accadeva spesso che gli impieghi non assegnati fossero destinati a cittadini musulmani. Dopo un anno di battaglie, siamo finalmente riusciti a impedire il verificarsi di questa anomalia. Ora il 5% degli impieghi governativi sarà a esclusivo appannaggio delle minoranze religiose: un passo importante per dare voce ai non musulmani».
Nell’agosto del 2011 il governo pachistano ha deciso di abolire la carica di ministro per le minoranze religiose a livello federale, l’incarico ricoperto da Shahbaz Bhatti. A livello provinciale lei ha raggiunto risultati considerevoli, ma non crede che un ministro federale potrebbe favorire maggiormente la tutela e lo sviluppo delle minoranze?
«Certamente un ministro a livello federale per le minoranze avrebbe la possibilità di affrontare le diverse problematiche in modo molto più concreto ed efficace».
Quanto ha influito la morte di Shahbaz Bhatti nella lotta per i diritti delle minoranze in Pakistan?
«È stata una perdita colossale, specialmente per noi cristiani».
Ritiene che la comunità internazionale possa contribuire a migliorare la vita delle minoranze religiose in Pakistan? Per esempio subordinando il sostegno economico al governo a reali miglioramenti delle politiche relative alle minoranze…
«La comunità internazionale dovrebbe guardare alle miserie e alle sofferenze causate dall’abuso della legge sulla blasfemia. È necessario promuovere lo sviluppo delle minoranze religiose in Pakistan, anche fornendo assistenza legale alle vittime della legge sulla blasfemia e di altre leggi discriminatorie».
Di Marta Petrosillo per Vatican Insider (La Stampa)
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