Di fronte alla dittatura del pensiero unico finalizzata a introdurre nella società controvalori che distorcono la visione del matrimonio come unione tra uomo e donna, la Chiesa è chiamata con coraggio a dire la bellezza della famiglia. Questo uno dei concetti espressi più volte in aula del Sinodo. Centrale anche il tema dei processi di dichiarazione di nullità matrimoniale per l’ottenimento della quale, secondo alcuni presuli, occorrerebbe snellire le procedure. Su questi aspetti si sofferma il card. Raymond Leo Burke, prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, intervistato da Paolo Ondarza della Radio Vaticana
R. – E’ un lavoro molto inteso che sta affrontando un grande numero di temi, forse troppi. In questo momento il discorso sembra ancora un po’ confuso, ma speriamo che arriveremo a dei chiarimenti, ovviamente, basati sull’insegnamento perenne della Chiesa, fondamento per una pastorale sana.
D. – Si sta discutendo molto sulla nullità dei matrimoni, sulla possibilità di esprimersi in maniera più efficace sulla dichiarazione di nullità matrimoniale…
R. – Una coppia si unisce in matrimonio e c’è sempre la possibilità che l’uno o l’altro degli sposi abbia viziato il consenso escludendo per un atto positivo della volontà alcuni beni essenziali per la validità del matrimonio: la fedeltà, l’indissolubilità o l’atto di procreare. Queste sono alcune delle ragioni per cui è possibile chiedere la nullità in un processo matrimoniale. Il processo ha tutti gli elementi per arrivare alla verità con certezza morale e quando c’è un personale ben preparato questo processo non dura a lungo e non è contrario alla pastorale.
D. – Viene chiesto uno snellimento della procedura processuale con l’eliminazione del secondo grado di giudizio richiesto oggi per ottenere un annullamento. Lei cosa pensa?
R. – Io non sono a favore di questo, perché per una cosa così importante, ovvero la validità del matrimonio – che tocca anche la salvezza dell’anima – la Chiesa vuole che un primo giudizio sia confermato in seconda istanza.
D. – Gli occhi di molti sono puntati su questo Sinodo soprattutto per alcune tematiche di sofferenza che vivono coppie il cui primo matrimonio è fallito. C’è però tutta una fetta di sposi che vive coerentemente la propria fede cristiana nel matrimonio e che attende dai padri sinodali una parola di conforto, anche perché spesso si trova a dover testimoniare in un contesto che nega i valori cristiani…
R. – Infatti, noi dobbiamo illustrare nel Sinodo, davanti a tutti, la bellezza del matrimonio che è, veramente, una partecipazione all’amore divino, nell’amore tra Padre, Figlio e Spirito Santo; e non dobbiamo considerare solamente i casi difficili. Il Sinodo sul matrimonio e sulla famiglia deve anche, prima di tutto, dare un messaggio positivo sul matrimonio.
D. – Oggi, secondo lei, è una sfida quella di dire chiaramente la visione della Chiesa sul matrimonio tra uomo e donna?
R. – Sì, è una sfida, perché la nostra cultura è totalmente secolarizzata e sta accettando delle cose che contraddicono la verità sul matrimonio. Ma la Chiesa è “controcorrente” e noi dobbiamo accettare la sofferenza che viene dall’annunciare una verità difficile per il nostro tempo; questa è la dimostrazione del nostro vero amore, per il mondo, per i nostri fratelli e sorelle, nel dire loro la verità che ci ha dato Cristo. Se soffriamo – e soffriremo certamente – accettiamo questa sofferenza con gioia perché sappiamo che stiamo veramente servendo in amore i nostri fratelli.
D. – Questo è un incoraggiamento per le tante coppie che entrano nella porta “stretta” del matrimonio, testimoniandone e vivendone però tutta la gioia e la bellezza?
R. – Giusto. Loro danno la testimonianza più bella e convincente di questa verità.