Un fatto storico. Le voci delle famiglie che arrivano direttamente ai vertici della Chiesa. Voci genuine, spontanee, preoccupate, tenere, arrabbiate, ma soprattutto cariche di speranza. Come succede nella vita di tutti i giorni. Voci, soprattutto, che si manifestano in quantità così imponenti da disorientare chi pensava che il secondo questionario, diffuso in vista del Sinodo ordinario di ottobre, non potesse rivelare nulla in più rispetto all’esperienza precedente. Invece, almeno per quanto riguarda l’Italia, è capitato l’inimmaginabile. Decine di migliaia di risposte. Così tante che non è ancora stato possibile stilare un conteggio definitivo. Anche se ieri, 15 aprile, è scaduto il termine stabilito per indirizzare le risposte alla Segreteria generale del Sinodo. Di fronte a questo afflusso massiccio la Cei è stata costretta a mettere in piedi una task force di scrutatori con funzionari dell’Ufficio famiglia, di quello catechistico, della pastorale giovanile e di altri Servizi Cei.
Le risposte sono arrivate in modo articolato da 134 diocesi, un’altra cinquantina ha annunciato che il materiale verrà spedito in questi giorni – sperando in un po’ di tolleranza da parte degli uffici vaticani – ma soprattutto sono state inviate tantissime risposte singole. Come se si fosse fatta più viva la consapevolezza di un momento da vivere in tutta la sua straordinarietà. E così, mentre le risposte al questionario in vista del Sinodo straordinario 2014 erano risultate più ‘professionali’ – in maggior parte forse preparate o ispirate da addetti ai lavori – questa volta sembra prevalere la spontaneità, l’immediatezza, la semplicità. Con tutti i sentimenti, positivi e negativi, correlati.
Risposte soprattutto che, in riferimento alla famiglia e alle sue molteplici connessioni, tracciano il quadro di una Chiesa molto diversa rispetto agli stereotipi mediatici. L’emergenza più avvertita non riguarda né la pastorale per i divorziati risposati, né quella per le persone omosessuali. «Dalla maggior parte delle risposte – osserva don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale della famiglia – emerge la preoccupazione per il crollo dei matrimoni e per i tassi di natalità, per la difficoltà di spiegare ai nostri giovani la bellezza del ‘per sempre’, per la confusione che sembra caratterizzare la vita di relazione, segnata da disorientamento e incertezza».
Incombe sul futuro delle famiglie italiane quell’emergenza educativa più volte segnalata che, quando tocca i temi degli affetti, della sessualità, della procreazione, arriva ad incidere direttamente sui fondamenti antropologici e apre interrogativi drammatici sul futuro di tutti. «Non si può dire che non si viva più l’affetto sponsale e che non nascano più figli ma – riprende don Gentili – in troppe occasioni il matrimonio viene considerato un passaggio inutile, forse troppo impegnativo, forse semplicemente troppo costoso in tempi di crisi».
In alcune diocesi il problema è così drammatico che i percorsi di preparazione al matrimonio sono stati drasticamente ridotti e, in alcuni casi, azzerati. Situazione drammatica le cui conseguenze, osservando i contenuti delle risposte, vengono percepite in modo diverso, non sempre puntuale. In alcuni casi, certo, la sensazione è quella di vivere una situazione di passaggio di profonda incertezza. Si legge per esempio su un questionario: «La crisi dell’istituto matrimoniale è così profonda che sembra di camminare su macerie fumanti».
In altre risposte sembra invece di cogliere la volontà di prendere le distanze dai nuovi modelli di vita dei giovani, dalle convivenze sempre più diffuse, da quella vita reale che si è allontanata dalle proposte del magistero. «Dobbiamo chiederci quanto siano attuali alcuni nostri schemi di pastorale familiare e giovanile, quanto impegno abbiamo profuso – continua il direttore dell’Ufficio Famiglia – nei percorsi di educazione all’affettività e alla sessualità. E quanta strada rimanga ancora da fare. Un fatto è comunque certo. Riflettere sui contenuti della grande mole di risposte arrivate in vista del Sinodo, ci ha obbligato a rivedere i nostri schemi, ad attenuare le posizioni più estreme, a trovare sintesi illuminate per inquadrare la verità in una luce di misericordia. Che – conclude don Gentili – anche in vista dell’Anno giubilare, è la vera sfida del prossimo Sinodo».
Di Luciano Moia per Avvenire
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