Bisogna ascoltare il contesto socio-culturale in cui vivono le famiglie oggi; confrontarsi sulle prospettive pastorali da intraprendere e soprattutto bisogna guardare a Cristo, al suo Vangelo della famiglia. Tira le fila, il card. Erdö, dopo una settimana intensa di dibattito nell’Aula del Sinodo: la sua “Relazione dopo la discussione” fa il punto e suggerisce su quali temi i Circoli minori dovranno lavorare, nei prossimi giorni, per preparare i documenti finali dell’Assemblea.
La famiglia, dunque: realtà “decisiva e preziosa”, “grembo di gioie e di prove, di affetti profondi e di relazioni a volte ferite”, “scuola di umanità”, va innanzitutto ascoltata, nella sua “complessità”. L’individualismo esasperato, la “grande prova” della solitudine, “l’affettività narcisistica” legata alla “fragilità” dei sentimenti, “l’incubo” della precarietà lavorativa, insieme a guerra, terrorismo, migrazioni, deteriorano, infatti, sempre più le situazioni familiari. E’ qui, allora – si legge nella Relazione – che la Chiesa deve dare “speranza e senso” alla vita dell’uomo contemporaneo, facendogli conoscere di più “la dottrina della fede”, ma proponendola “insieme alla misericordia”.
Poi, lo sguardo a Cristo, che “riafferma l’unione indissolubile tra uomo e donna”, ma che permette anche di “leggere in termini di continuità e novità l’alleanza nuziale”. Il principio – spiega il card. Erdö – deve essere quello della “gradualità” per i coniugi di matrimoni falliti, in una “prospettiva inclusiva” per le “forme imperfette” della realtà nuziale: “Rendendosi necessario un discernimento spirituale, riguardo alle convivenze e ai matrimoni civili e ai divorziati risposati, compete alla Chiesa di riconoscere quei semi del Verbo sparsi oltre i suoi confini visibili e sacramentali. (…) La Chiesa si volge con rispetto a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto e imperfetto, apprezzando più i valori positivi che custodiscono, anziché i limiti e le mancanze”.
Occorre, dunque, una “dimensione nuova della pastorale familiare”, che sappia nutrire i semi in maturazione, come quei matrimoni civili connotati da stabilità, affetto profondo, responsabilità nei confronti dei figli e che possono portare al vincolo sacramentale. Anche perché spesso le convivenze o le unioni di fatto non sono dettate da un “rigetto dei valori cristiani”, ma da esigenze pratiche, come l’attesa di un lavoro fisso. Vera “casa paterna”, “fiaccola in mezzo alla gente” – continua il porporato – la Chiesa, allora, deve accompagnare “con pazienza e delicatezza”, “con attenzione e premura i suoi figli più fragili, quelli segnati dall’amore ferito e smarrito”, dando loro “fiducia e speranza”.
In terzo luogo, la “Relazione dopo la discussione” affronta le “istanze pastorali più urgenti” da affidare “alla concretizzazione nelle singole Chiese locali”, sempre in comunione con il Papa. Al primo posto, c’è “l’annuncio del Vangelo della famiglia”, da attuare non per “condannare, ma per guarire la fragilità umana”. E tale annuncio riguarda anche i fedeli: “Evangelizzare è responsabilità condivisa di tutto il popolo di Dio, ognuno secondo il proprio ministero e carisma. Senza la testimonianza gioiosa dei coniugi e delle famiglie, l’annunzio, anche se corretto, rischia di essere incompreso o di affogare nel mare di parole che caratterizza la nostra società (cf. Novo Millennio Ineunte, 50). Le famiglie cattoliche sono chiamate ad essere esse stesse i soggetti attivi di tutta la pastorale familiare”.
Il Vangelo della famiglia è “gioia”, sottolinea il card. Erdö, e per questo richiede “una conversione missionaria”, così da non fermarsi ad un “annuncio meramente teorico, sganciato dai problemi reali delle persone”. Allo stesso tempo, è necessario agire anche sul linguaggio:
“La conversione deve essere quella del linguaggio perché esso risulti effettivamente significativo. (…) Non si tratta soltanto di presentare una normativa ma di proporre valori, rispondendo al bisogno di essi che si constata oggi anche nei paesi più secolarizzati”.
Essenziale, poi, una “adeguata preparazione al matrimonio cristiano”, perché esso non è solo “una tradizione culturale o un’esigenza sociale”, bensì “una decisione vocazionale”. Senza “complicare i cicli di formazione”, dunque, l’obiettivo è quello di “andare in profondità”, non limitandosi ad “orientamenti generali”, ma rinnovando anche “la formazione dei presbiteri” sull’argomento, grazie al coinvolgimento delle stesse famiglie, la cui testimonianza va “privilegiata”. L’accompagnamento della Chiesa viene suggerito anche per dopo il matrimonio, periodo “vitale e delicato” in cui i coniugi maturano la consapevolezza del sacramento, il suo significato e le sfide che esso comporta.
Allo stesso modo, la Chiesa – continua la Relazione – deve incoraggiare e sostenere i laici impegnati nella cultura, nella politica e nella società, perché non manchi la denuncia di quei fattori che impediscono “l’autentica vita familiare, determinando discriminazioni, povertà, esclusioni, violenza”.
Guardando, quindi, a separati, divorziati e divorziati risposati, il card. Erdö sottolinea che “non è saggio pensare a soluzioni uniche o ispirate alla logica del ‘tutto o niente’”; il dialogo deve continuare, perciò, nelle Chiese locali, “con rispetto ed amore” per ogni famiglia ferita, pensando a chi ha subito ingiustamente l’abbandono del coniuge, evitando atteggiamenti discriminatori e tutelando bambini:
“E’ indispensabile farsi carico in maniera leale e costruttiva delle conseguenze della separazione o del divorzio sui figli: essi non possono diventare un ‘oggetto’ da contendersi e vanno cercate le forme migliori perché possano superare il trauma della scissione familiare e crescere in maniera il più possibile serena”.
Riguardo allo snellimento delle procedure per il riconoscimento della nullità matrimoniale, il Relatore generale del Sinodo ricorda le proposte avanzate in Aula: superare l’obbligo della doppia sentenza conforme, determinare la via amministrativa a livello diocesano, avviare un processo sommario in casi di nullità notoria, ma anche dare rilevanza alla fede dei nubendi per riconoscere o meno la validità del vincolo. Il tutto richiede – sottolinea il porporato – personale chierico e laico adeguatamente preparato, ed una maggiore responsabilità dei vescovi locali.
Quanto all’accesso al sacramento dell’Eucaristia per i divorziati risposati, la Relazione elenca i principali suggerimenti emersi dal Sinodo: mantenere la disciplina attuale; attuare una maggiore apertura per casi particolari, insolubili senza nuove ingiustizie o sofferenze; oppure optare per la via “penitenziale”: “L’eventuale accesso ai sacramenti occorrerebbe fosse preceduto da un cammino penitenziale – sotto la responsabilità dal vescovo diocesano –, e con un impegno chiaro in favore dei figli. Si tratterebbe di una possibilità non generalizzata, frutto di un discernimento attuato caso per caso, secondo una legge di gradualità, che tenga presente la distinzione tra stato di peccato, stato di grazia e circostanze attenuanti”.
Resta ancora aperta, inoltre, la questione della “comunione spirituale”, per la quale viene sollecitato un maggiore approfondimento teologico, così come viene richiesta una maggiore riflessione sui matrimoni misti e sui “problemi gravi” legati alla diversa disciplina nuziale delle Chiese ortodosse. Quanto alle persone omosessuali, viene sottolineato che esse hanno “doti e qualità da offrire alla comunità cristiana”: la Chiesa sia dunque, per loro, “casa accogliente”, fermo restando il no alle unioni omosessuali e a quelle pressioni di organismi internazionali che legano gli aiuti finanziari all’introduzione di normative ispirate all’ideologia del gender: “Senza negare le problematiche morali connesse alle unioni omosessuali si prende atto che vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partners. Inoltre, la Chiesa ha attenzione speciale verso i bambini che vivono con coppie dello stesso sesso, ribadendo che al primo posto vanno messi sempre le esigenze e i diritti dei piccoli”.
Nell’ultima parte, la Relazione riprende i temi dell’Enciclica Humanae Vitae di Paolo VI e si concentra sulla questione dell’apertura alla vita, definendola “esigenza intrinseca dell’amore coniugale”. Di qui, il bisogno di un “linguaggio realista” che sappia spiegare “la bellezza e la verità” di aprirsi al dono di un figlio, anche grazie ad un “adeguato insegnamento circa i metodi naturali di regolazione della fertilità” e ad una “comunicazione armoniosa e consapevole tra i coniugi, in tutte le sue dimensioni”. Centrale, inoltre, la sfida educativa, in cui la Chiesa ha “un ruolo prezioso di sostegno” alle famiglie, per sostenerle nelle scelte e nelle responsabilità.
Infine, il card. Erdö sottolinea che il dialogo sinodale si è svolto “in grande libertà e in uno stile di reciproco ascolto” e ricorda che le riflessioni proposte fino ad ora non sono decisioni già prese: il cammino, infatti, proseguirà con il Sinodo generale ordinario, sempre sul tema della famiglia, in programma ad ottobre 2015. Il servizio è di Isabella Piro per la Radio Vaticana
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IL VIDEO (A cura del Centro Televisivo Vaticano)
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