Le parole che il Papa ha voluto pronunciare a chiusura dei lavori, valgono per tutti i credenti. Non solo, dunque, per tutti i vescovi e per tutti i pastori. Francesco ci ha offerto la strumentazione spirituale, ancor prima che metodologica, per vivere con purezza d’animo e onestà intellettuale il percorso che ci aspetta
Il Sinodo straordinario dei vescovi sulla famiglia è stato un momento significativo di quella “Chiesa in uscita” evocata da Papa Francesco sin dai primi passi del suo pontificato. Una “Chiesa in uscita” che non ha paura di rimanere “incidentata” nell’incontro con il mondo e che nel solco del Concilio Ecumenico Vaticano II si esercita nello “scrutare i segni dei tempi”, non teme il discernimento e l’abbraccio con i feriti. Tutti i feriti dalla vita, anche quelli che sino a ieri ha forse trascurato, mai odiato.
Ecco perché a poco valgono tutte le letture “politiche” applicate a quanto si è svolto nelle aule sinodali, così come il giudizio sugli esiti di un appuntamento ecclesiale destinato a restare come pietra miliare nella storia secolare di quella speciale comunità terrena di uomini e donne radunate attorno al proprio Dio di salvezza e misericordia che è la Chiesa fondata da Gesù Cristo, per volontà del Padre e pervasa dal soffio dello Spirito Santo.
Solo in quest’ottica ci permettiamo di ragionare attorno al Sinodo straordinario, nella consapevolezza che sin da oggi si apre una fase nuova, un “cammino” come l’ha definito lo stesso Papa Francesco, che porterà all’appuntamento con il Sinodo ordinario dal quale emergerà, in tutta la sua forza rigeneratrice, lo slancio della Chiesa verso la famiglia e il matrimonio, insieme con la sollecitudine verso il bene ovunque esso si manifesti nella vita delle donne e degli uomini di oggi. Di questo abbiamo ragionevole certezza, così come sappiamo che la “Relatio Synodi” è affidata come “Lineamenta” alla cura delle Conferenze episcopali nazionali, perché in ogni angolo del mondo si realizzi quel discernimento comunitario che il Papa considera indispensabile. Attendiamo, perciò, con pazienza e curiosità, le indicazioni che verranno date per l’Italia dai nostri pastori.
Ma ciò che ci preme sottolineare, in questo momento, è che le parole che il Papa ha voluto pronunciare a chiusura dei lavori del Sinodo valgono per tutti. Per tutti i credenti. Non solo, dunque, per tutti i vescovi e per tutti i pastori. Ricorderemo solo per titoli, rinviando a una lettura testuale delle parole del Papa, le “tentazioni” dalle quali anche i laici cristiani dovranno guardarsi in quest’anno di preparazione al Sinodo ordinario. Eccole: la tentazione dell’irrigidimento ostile, la tentazione del buonismo distruttivo, la tentazione di trasformare la pietra in pane e all’opposto di trasformare il pane in pietra, la tentazione di scendere dalla croce, la tentazione di trascurare il “depositum fidei” e, all’opposto, la tentazione di trascurare la realtà. Sono parole pronunciate dal Papa che non intendiamo commentare, ma solo acquisire come strumentazione spirituale, ancor prima che metodologica, per vivere con purezza d’animo e onestà intellettuale il cammino che ci aspetta. Un cammino che, vogliamo ricordarlo a qualche distratto, da sempre ci porta a incrociare l’umanità ferita che oggi ha anche il volto dei divorziati risposati, di quanti sono sposati solo civilmente, dei conviventi, degli omosessuali. Ma anche di tante nostre famiglie credenti in affanno e in crisi. Cancellarli tutti per miopia esistenziale è un vero peccato di omissione.
Certo, una prima considerazione, queste “tentazioni” indicate dal Papa ci sollecitano. Come accade in tutte le famiglie, e la Chiesa è ancora una famiglia, a qualcuno tocca il compito d’indicare il tragitto e i rischi che si possono correre lungo una strada che non può non essere accidentata. In questo caso, parliamo di rischi squisitamente spirituali, non di incidenti o traversie culturali che pure sono da mettere in conto. Ecco, il Papa ci ha messo in guardia. Ora sappiamo come viaggiare in questo anno di discernimento, nella coscienza di non dover tradire il nostro Dio e di non dover tradire neppure le donne e gli uomini del nostro tempo con i quali siamo chiamati a condividere tutto: anche l’amore che Gesù Cristo ci dona ogni santo giorno. Tenerlo stretto e solo per noi sarebbe l’ultima, imperdonabile tentazione.
Di Domenico Delle Foglie per Agensir
[box] CONSULTA TUTTI GLI ARTICOLI DEL NOSTRO SPECIALE SINODO: #Synod2014 [/box]