Marco Guerra – Città del Vaticano
Il capo dello stato maggiore delle forze armate russe, il generale Gerasimov, e il suo omologo turco, Yasar Guler, hanno discusso del conflitto in Siria in una telefonata, inclusa la difficile situazione nella zona di Idlib. Nelle stesse ore il ministero degli Esteri russo ha invitato la Turchia ad astenersi dal rilasciare dichiarazioni provocatorie sugli eventi in Siria.
Ma se la diplomazia prova a conversare, sul campo continuano a parlare le armi. Secondo fonti locali ieri l’esercito turco ha bombardato postazioni governative siriane, nel tentativo di rallentare l’avanzata delle truppe di Damasco verso l’interno della regione di Idlib, ultima roccaforte delle opposizioni siriane e dei ribelli integralisti sostenuti da Ankara nella Siria nord-occidentale. L’artiglieria turca ha colpito la zona di Saraqeb lungo l’autostrada Hama-Aleppo, che era stata presa dalle forze governative nei giorni scorsi col sostegno dell’aviazione russa. Il ministero della Difesa turco ha riferito di aver “neutralizzato” (cioè ucciso o ferito) almeno 55 soldati dell’esercito siriano che, dal canto suo, non ha confermato le perdite.
Il ministro della Difesa turco Hulusi Akar ha quindi comunicato che stanno inviando truppe aggiuntive ad Idlib per difendere il cessate il fuoco e renderlo permanente. “Controlleremo l’area – ha aggiunto – e prenderemo ogni tipo di misura necessaria contro chiunque non rispetti il cessate il fuoco, compresi i gruppi radicali”. Ad alzare la tensione tra le parti arriva anche la decisione del Parlamento siriano che ha riconosciuto per la prima volta il “genocidio” di circa un milione e mezzo di armeni tra il 1915 e il 1917, compiuto dall’impero ottomano. Un’iniziativa definita “ipocrita” dal governo di Ankara. Intanto preoccupa l’emergenza umanitaria acuita dal freddo intenso di questi giorni. L’Onu stima che sono circa 800mila gli sfollati da dicembre alla prima settimana di febbraio. Solo nelle ultime ore si registrano una famiglia di sfollati che ha perso la vita per il malfunzionamento di una stufa e una neonata morta assiderata.
Sull’emergenza freddo che sta provando tutta la popolazione nel nord della Siria, abbiamo raggiunto telefonicamente ad Aleppo, padre Firas Lutfi, ministro dei Francescani della Regione di San Paolo:
R. Questo freddo ha colpito Aleppo e tutta la regione del nord della Siria. Di notte le temperature si abbassano sotto zero, le persone sono congelate, aumenta l’influenza che colpisce soprattutto bambini ed anziani. Questo mese abbiamo infatti celebrato molti funerali di anziani, morti a causa del freddo, perché mancano il gas e l’olio per far funzionare le stufe, l’elettricità arriva solo pochissime ore al giorno. Davanti a questo scenario soffriamo tantissimo, anche la neve è caduta. I bambini non possono andare a scuola e i genitori li coprono mettendo loro tanti strati di vestiti. Una mamma raccontava che la figliola non riesce a studiare nemmeno a casa. Questa situazione si accumula alle sofferenze di nove anni di guerra, che prosegue nella regione di Idlib.
Le arrivano notizie dalla zona di Idlib controllata dai ribelli?
R. Essendo ministro dei francescani della regione San Paolo sono in continuo contatto con i miei confratelli francescani che sono pastori della piccola minoranza cristiana presente nella regione di Idlib. Sono tre i villaggi cristiani: Knayeh, Yacoubieh e Sdeide. Qui i pastori custodiscono questo piccolo gregge vivendo una carità eroica. Loro distribuiscono i pacchi alimentari a più di 1500 famiglie di tutte le confessioni religiose
Aleppo è vicina alla regione di Idlib dove prosegue l’offensiva governativa, ci sono ripercussioni in città?
R. I missili cadono spesso sulla città di Aleppo, perché quando i gruppi jihadisti si sentono sotto pressione si vendicano non contro le postazioni militari ma contro i civili. Lanciano queste bombe nelle zone abitate da civili
Quindi i profughi che scappano nella regione di Idlib si iniziano a vedere nei dintorni di Aleppo?
R. Sì, certamente, e ci sono delle misure che il governo sta adottando per accoglierli, perché il loro è un ritorno in patria, loro sono pieni cittadini della Siria e godono dei loro diritti dentro il loro Paese.
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