Vijay Prashd, autore della pubblicazione Arab Spring, Libyan Winter, annota che “l’Ambizione del Qatar è quella di realizzare una serie di gasdotti fino ad arrivare in Europa”.[1] Secondo Prashad il percorso proposto dovrebbe attraversare i territori di Iraq e Turchia, tuttavia il primo paese è problematico. Per tale motive, sarebbe più semplice passare da Nord e al riguardo il Qatar ha già assicurato gas gratuito alla Giordania.
Per il raggiungimento di tale obiettivo è necessario impedire la realizzazione del gasdotto da dieci miliardi di dollari che dovrebbe attraversare Iran, Iraq e Siria; un accordo concluso nonostante la rivolta siriana fosse già in fieri. Il Qatar appare in concorrenza diretta sia con l’Iran, in quanto produttore, che con la Siria (destinazione finale), e con l’Iraq, paese di transito.
Il gas iraniano proviene dalla stessa base geografica e geologica: il South Pars, il più grande giacimento di gas al mondo che Iran e Qatar si spartiscono.
Il gasdotto Iran, Iraq e Siria consoliderebbe un asse prevalentemente sciita tramite un cordone ombelicale economico d’acciaio. L’indicazione del polo costiero siriano Tartus-Baniyas come tappa finale del “gasdotto sciita” taglierebbe fuori anche la Turchia. Tuttavia, se vi sarà un cambio di regime in Siria, favorito dall’invasione proposta dall’Arabia Saudita e dalla Turchia il “gasdotto sciita” potrebbe essere bloccato. Un auspicabile regime post-Assad dei Fratelli Musulmani o dei wahahhabbiti accoglierebbe a braccia aperte un gasdotto qatarino e ciò renderebbe più semplice un prolungamento del pipeline fino alla turchia.
In previsione di un cambio della guardia a Damasco, Ankara e Doha hanno raggiunto l’obiettivo di stoppare il gasdotto sciita, mettendo in campo lo stesso progetto con altri protagonisti: al centro resta la piattaforma siro-iachena, in cui però la Siria, purgata dalle influenze iraniane, deve funzionare da mero territorio di transito del gas dell’Iraq centrale e del Qatar verso la Turchia e l’Europa.
Alla fine del 2011, le notizie sulle gesta dell’emiro del Qatar in Siria cominciavano a circolare sulla stampa turca, considerando che è appunto in Turchia che si sono installate le basi dei mercenari infiltrati quotidianamente in territorio siriano.
Anche sul resto della stampa occidentale, sia pure in modo sconnesso, sono trapelate informazioni circa il contributo massivo offerto dal Qatar alla “rivoluzione” siriana. Nell’agosto 2012 il quotidiano britannico “Guardian” pubblicò un articolo celebrativo sui moventi “morali” che spingerebbero a questo attivismo contro Assad.Human Right Watch (HRW) in un suo rapporto pubblicato nel marzo 2012, cioè dopo più di un anno di distanza da quando i terroristi-takfiristi imperversano in Siria e la commissione ONU sui crimini di guerra in Siria hanno denunciato che gli attacchi lanciati dai gruppi armati contro le istituzioni e la popolazione (anche con armi chimiche) sono per lo più di natura settaria, motivati da sentimenti anti-sciiti, anti-alawiti e anti-cristiani.[2]
Come aveva notato Mark Twain, “una bugia fa in tempo a fare il giro del mondo mentre la verità si sta ancora mettendo le scarpe”. Nel caso siriano, la verità è riuscita a mettersi le scarpe e a iniziare a camminare.
[1] Vijay Prashad, Arab Spring, Libyan Winter, AK Press, Oakland 2012, pag. 112.
[2] Syria: Armed Opposition Groups Committing Abuses, in Human Right Watch, 20 marzo 2012.
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