Un’immagine su tutte rappresenta l’ultima edizione del Meeting di Rimini conclusosi ieri: padre Ibrahim Alsabagh, parroco della chiesa latina di San Francesco ad Aleppo, in Siria. È da testimonianze come la sua – che non possono non spiazzarti – che si capisce che Gesù è con noi «fino alla fine del mondo». «Sono qui per condividere la gioia della fede» precisa subito dal palco. Se a dirlo è uno che vive ogni giorno sotto le bombe e a qualche centinaio di metri dall’Isis o è folle o c’è dell’Altro.
Padre Ibrahim è arrivato ad Aleppo nove mesi fa nel pieno della crisi che sta vivendo la Siria. Una situazione difficile che descrive come l’Apocalisse: «Siamo nel caos e manchiamo di tutto. Accanto all’oggettivo problema della sicurezza – il suo quartiere è sotto il controllo del governo siriano ma a poca distanza ci sono le truppe del Califfato – c’è quello della difficoltà a reperire tutto per via dei costi sempre più alti e delle scarse disponibilità di beni. Una mancanza che quando viene colmata ci fa apprezzare ancora di più anche una cosa semplice come un bicchier d’acqua».
Per spiegare cosa vuol dire essere parroco ad Aleppo padre Ibrahim non usa troppi giri di parole. «Il nostro compito è stare di fronte ai bisogni della gente, cristiani o musulmani che siano». Negli ultimi tempi alla già difficile situazione ad Aleppo c’è il problema del caldo torrido e della conseguente mancanza di acqua. La sua parrocchia ha la fortuna di avere un pozzo dal quale attingerla per venire incontro al bisogno del quartiere. Ed è proprio in una situazione di vita quotidiana come questa che si rivela la presenza di Cristo.
«Le file – spiega – durano ore e nonostante tutto non accade nulla. Gente lieta e sorridente che attende il proprio turno. Un musulmano mi si è avvicinato all’orecchio dicendomi: “È una cosa molto strana, c’è qualcosa di grande qui da voi. Io giro per la città e vedo gente che litiga e quasi si ammazza per un secchio d’acqua. Qui invece è tutto diverso”. Ecco, parlare di Cristo a tutti nel contesto in cui viviamo è difficile ma è con questi piccoli gesti di pace, di gioia nel cuore, di pazienza e di umiltà che riusciamo a dire tanto a chi ha sete di qualcosa di grande». Una fede testimoniata non con grandi discorsi ma semplicemente attraverso quel metodo insegnato da Gesù: «Vieni e seguimi».
Il desiderio più grande, quello con cui padre Ibrahim si alza ogni mattina, è che tutto possa avere fine. «Non sappiamo quando finirà, ma non importa il quando e il come. La cosa importante è testimoniare Cristo, solo poi viene la soluzione politica e umanitaria. Testimoniare la vita cristiana amando, perdonando e pensando anche alla salvezza di chi ci fa il male». Parole che indicano l’unico vero percorso possibile che salverà l’uomo.
Di Daniele Banfi per Vatican Insider (La Stampa)
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