Se osserviamo lo scenario mediorientale da questo punto di vista, diciamo che è chiaro il fallimento della politica estera statunitense che ha regalato tre grandi stati, un tempo laici, ai fondamentalisti islamici che ora puntano a conquistare nuovi territori (Giordania e Libano in primis) e ad imporre una legge tribale e medioevale. Ecco, se osserviamo la situazione da questa prospettiva e se consideriamo l’obiettivo primario degli Stati Uniti l’esportazione della democrazia, è chiaro che siamo di fronte al fallimento statunitense in Medio Oriente. Ma l’esportazione della democrazia è solo un banale pretesto che i grandi stati usano nella loro battaglia retorica. Per intenderci anche Mussolini e Hitler usarono questo pretesto per invadere l’Etiopia e la Cecoslovacchia. Cosa ben diversa se ragioniamo ponendo al centro della discussione un altro obiettivo statunitense: ridisegnare il Medio Oriente che a sua volta fu artificialmente disegnato dall’Inghilterra e dalla Francia all’inizio del XX secolo (a partire dai cosiddetti patti Sykes-Picot del 1916). L’obiettivo, mai nascosto più di tanto, è quello di dividere l’Iraq in 3 stati: quello sciita, quello sunnita e quello curdo. Se leggiamo gli avvenimenti di questi giorni sotto questa lente allora la valutazione cambia. Allora il piano statunitense è, perlomeno nel breve termine, un successo.
I curdi iracheni, capaci di fronteggiare i terroristi dell’ISIS, sono riusciti in questi anni a creare, nel nord dell’Iraq, un piccolo stato moderatamente sicuro e ricco grazie ai proventi del petrolio e agli accordi firmati con Exxon, BP, Shell. Ora, grazie all’offensiva di questi giorni, si sono ulteriormente allargati e, molto probabilmente, questi resteranno i confini “iracheni” del loro futuro stato. Da capire, invece, cosa ne sarà dell’intero Kurdistan (un popolazione di circa 35 milioni di abitanti in un territorio di 550 mila chilometri quadrati) diviso tra 4 stati: Iraq, come si è visto, Turchia (si calcolano circa 20/25 milioni di curdi), Siria (600/700 mila) e Iran (quasi 7 milioni). Ma questo è un altro discorso. Ritorniamo all’Iraq. Un secondo stato sarebbe controllato dai sunniti che pur essendo una minoranza hanno, durante il regime di Saddam, controllato l’Iraq. Questo stato è fortemente sponsorizzato dall’Arabia Saudita che è molto più che complice dell’avanzata dell’ISIS in Iraq. È impensabile che un simile successo militare sia avvenuto senza li coinvolgimento dell’Arabia Saudita e di alcuni ex generali baathisti di Saddam Hussein (tra i quali Gen. Abboud Qanbar; Gen. Ali Ghaidan e Gen. Mahdi al-Ghazzawi) che mai hanno sopportato il governo sciita, filo-iraniano, di Nouri al-Maliki. E infine uno stato sciita, vicino all’Iran e alla Siria di Assad. Gli obiettivi di questa suddivisione in chiave etnica religiosa sono molteplici e vanno dal “divide et impera” di romana memoria, al contrastare l’avanzata dell’Iran in Medio Oriente, sino alla possibilità di poter meglio controllare le risorse del sottosuolo. Resta, ahimé, il fatto che l’avanzata dell’ISIS in Iraq, quella che un tempo fu la culla della civiltà, allontana e di molto la pace in Medio Oriente e prepara la strada per una pericolosa escalation di guerre.
La cosa più dolorosa è l’enorme esodo della popolazione man mano che gli ultra-integralisti conquistano territori e città irachene, con rischi di epidemie, violenze continue… Con l’intervento dell’Iran e di altre milizie sciite che fanno riferimento a potenti leader religiosi sciiti locali gli ultra islamisti non potranno (forse) arrivare a Baghdad, cioè conquistare tutto l’Iraq, ma intanto stanno consolidando la loro presenza là dove già ci sono, e questo sta dividendo l’Iraq appunto tra sciti (come Baghdad lo è prevalentemente) e zone sunnite dove gli ultra religiosi si stanno consolidando. E non pensate che siano armati solo di kalasnikov, un po’ sul modello di Al Qaeda: sanno usare benissimo i social network e le più innovative tecnologie informatiche e mediatiche, quest’ultime rivolte in particolare ai “fratelli musulmani” dell’occidente, per invitarli a partecipare alla Jihad, la guerra santa.
Pertanto gli scontri tra sciiti e sunniti appaiono un pretesto per dimostrare la confusione progettuale di un mondo musulmano, “tentato” dai principi libertari di riconoscimento dei diritti fondamentali della persona (le donne in primis), e dall’altra la paura di perdere una propria identità certa, consolidata, ma che inesorabilmente si va sgretolando. Pertanto la possibilità concreta, con la guerra attuale in Iraq, di costituzione di una Stato islamico “puro”, ultra-conservatore, è forse frutto più della mancata elaborazione di un progetto politico-religioso del mondo islamico, accettabile per tutta la sua popolazione, che si integri virtuosamente nella contemporaneità del mondo globale, pur conservando dignità e profondo rispetto della propria fede religiosa. A nostro avviso qualcosa possiamo fare noi occidentali: sostenere in tutti i modi le forze islamiche che propugnano il dialogo, evitando che vengano soprafatte dalla violenza dei loro fratelli. a cura di Francis Marrash *
* Le fonti dell’articolo sono tratte da: Sebastiano Malamacco per geograficamente.
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