Siria: l’avanzata dell’ISIS e il fallimento dell’occidente

Ad una prima e superficiale lettura, l’avanzata dell’ISIS in Iraq potrebbe essere letto come l’ultimo segnale, forse il più preoccupante, del completo fallimento della politica statunitense in Medio Oriente. Una politica che ha portato ad abbattere tre regimi laici (Iraq, Libia e parzialmente la Siria) consegnando questi paesi ai fondamentalisti islamici. La situazione, non sarà di certo sfuggita all’opinione pubblica è alquanto paradossale: in Siria gli Stati Uniti finanziano e armano l’ISIS (che controlla il nord est del paese con Raqqa come “capitale” di questo stato islamico sunnita, dove è vietata la musica e la vendita di sigarette) per combattere contro Assad (e dunque contro l’Iran sciita), mentre ufficialmente in Iraq cercano il dialogo con l’Iran per combattere l’ISIS. Come mai i media non danno notizie chiare e precise di ciò che stà avvenendo in quella martoriata regione? Come mai non ci sono interventi precisi e decisi contro l’avanzata degli ultra fondamentalisti? L’Islamic State in Iraq and the Levant (ISIL o ISIS), -commenta Massimo Ragnedda-, nasce nel 2004 in Iraq per combattere l’occupazione americana ed è composto da fondamentalisti islamici, di ispirazione wahabita (Arabia Saudita) che si pongono come obiettivo l’instaurazione della Sharia (legge islamica) in Iraq e Siria. Questo gruppo è nato dopo la “liberazione” dell’Iraq da parte degli Stati Uniti e si sono notevolmente rinforzati grazie agli aiuti militari che ricevono in Siria da parte dell’Arabia Saudita, della Turchia e Qatar da una parte, e dagli Stati Uniti, dall’Inghilterra e dalla Francia dall’altra. Ora stanno conquistando l’Iraq e marciano verso Bagdad. La popolazione irachena è terrorizzata e, solo a Mosul, ben 500mila cittadini sono dovuti scappare. Non è proprio la liberazione dell’Iraq che i media ci hanno raccontato in questi anni: con l’ISIS l’Iraq fa un passo indietro di mille anni. La ferocia dell’ISIS è nota a tutti: solo nelle ultime ore hanno giustiziato almeno 1700 persone, considerate infedeli.

La guerra in Siria, la politica del governo iracheno e gli amerciani che non ci sono più, sono i tre motivi che hanno portato a una situazione esplosiva in Iraq, dove più di un terzo del territorio è già stato conquistato dagli integralisti islamici ultra-estremisti (per dire: la stessa Al Qaeda li considera troppo violenti!). Sembra comunque essere l’epilogo della guerra di religione (in Iraq) tra sciti (al potere) e sunniti, con i curdi che cercano di approfittarne della guerra civile tra le due fazioni religiose. Quel che stanno tentando di fare gli ultra estremisti islamici che si ritrovano nell’ISIS (che starebbe per ”Stato Islamico dell’Iraq e del Levante”), dopo che la guerra in Siria ha loro dato nuove possibilità di espansione anche in territorio siriano, è quella di costituire un Califfato, un vero e proprio Stato ultra Islamico che, partendo dal controllo di tutto l’Iraq (e la parte nord già la stanno controllando, oltre che una parte della Siria in guerra civile) avrebbe l’ambizione di comprende il cosiddetto “Levante”, cioè l’area del Mediterraneo Orientale: Siria, Giordania, Palestina, Libano, Israele e Cipro.

Se osserviamo lo scenario mediorientale da questo punto di vista, diciamo che è chiaro il fallimento della politica estera statunitense che ha regalato tre grandi stati, un tempo laici, ai fondamentalisti islamici che ora puntano a conquistare nuovi territori (Giordania e Libano in primis) e ad imporre una legge tribale e medioevale. Ecco, se osserviamo la situazione da questa prospettiva e se consideriamo l’obiettivo primario degli Stati Uniti l’esportazione della democrazia, è chiaro che siamo di fronte al fallimento statunitense in Medio Oriente. Ma l’esportazione della democrazia è solo un banale pretesto che i grandi stati usano nella loro battaglia retorica. Per intenderci anche Mussolini e Hitler usarono questo pretesto per invadere l’Etiopia e la Cecoslovacchia. Cosa ben diversa se ragioniamo ponendo al centro della discussione un altro obiettivo statunitense: ridisegnare il Medio Oriente che a sua volta fu artificialmente disegnato dall’Inghilterra e dalla Francia all’inizio del XX secolo (a partire dai cosiddetti patti Sykes-Picot del 1916). L’obiettivo, mai nascosto più di tanto, è quello di dividere l’Iraq in 3 stati: quello sciita, quello sunnita e quello curdo. Se leggiamo gli avvenimenti di questi giorni sotto questa lente allora la valutazione cambia. Allora il piano statunitense è, perlomeno nel breve termine, un successo.

L’avanzata degli ultra fondamentalisti dell’ISIS

I curdi iracheni, capaci di fronteggiare i terroristi dell’ISIS, sono riusciti in questi anni a creare, nel nord dell’Iraq, un piccolo stato moderatamente sicuro e ricco grazie ai proventi del petrolio e agli accordi firmati con Exxon, BP, Shell. Ora, grazie all’offensiva di questi giorni, si sono ulteriormente allargati e, molto probabilmente, questi resteranno i confini “iracheni” del loro futuro stato. Da capire, invece, cosa ne sarà dell’intero Kurdistan (un popolazione di circa 35 milioni di abitanti in un territorio di 550 mila chilometri quadrati) diviso tra 4 stati: Iraq, come si è visto, Turchia (si calcolano circa 20/25 milioni di curdi), Siria (600/700 mila) e Iran (quasi 7 milioni). Ma questo è un altro discorso. Ritorniamo all’Iraq. Un secondo stato sarebbe controllato dai sunniti che pur essendo una minoranza hanno, durante il regime di Saddam, controllato l’Iraq. Questo stato è fortemente sponsorizzato dall’Arabia Saudita che è molto più che complice dell’avanzata dell’ISIS in Iraq. È impensabile che un simile successo militare sia avvenuto senza li coinvolgimento dell’Arabia Saudita e di alcuni ex generali baathisti di Saddam Hussein (tra i quali Gen. Abboud Qanbar; Gen. Ali Ghaidan e Gen. Mahdi al-Ghazzawi) che mai hanno sopportato il governo sciita, filo-iraniano, di Nouri al-Maliki. E infine uno stato sciita, vicino all’Iran e alla Siria di Assad. Gli obiettivi di questa suddivisione in chiave etnica religiosa sono molteplici e vanno dal “divide et impera” di romana memoria, al contrastare l’avanzata dell’Iran in Medio Oriente, sino alla possibilità di poter meglio controllare le risorse del sottosuolo. Resta, ahimé, il fatto che l’avanzata dell’ISIS in Iraq, quella che un tempo fu la culla della civiltà, allontana e di molto la pace in Medio Oriente e prepara la strada per una pericolosa escalation di guerre.

La cosa più dolorosa è l’enorme esodo della popolazione man mano che gli ultra-integralisti conquistano territori e città irachene, con rischi di epidemie, violenze continue… Con l’intervento dell’Iran e di altre milizie sciite che fanno riferimento a potenti leader religiosi sciiti locali gli ultra islamisti non potranno (forse) arrivare a Baghdad, cioè conquistare tutto l’Iraq, ma intanto stanno consolidando la loro presenza là dove già ci sono, e questo sta dividendo l’Iraq appunto tra sciti (come Baghdad lo è prevalentemente) e zone sunnite dove gli ultra religiosi si stanno consolidando. E non pensate che siano armati solo di kalasnikov, un po’ sul modello di Al Qaeda: sanno usare benissimo i social network e le più innovative tecnologie informatiche e mediatiche, quest’ultime rivolte in particolare ai “fratelli musulmani” dell’occidente, per invitarli a partecipare alla Jihad, la guerra santa.

Pertanto anche nel Medio Oriente di religione musulmana sta avvenendo una specie di divisione etnica religiosa, con progetti di vita per le persone rivolti al più strenuo rispetto della tradizione conservatrice (tutto da vedere che questo corrisponda al volere delle indicazioni religiose). A rimetterci i diritti delle donne, la chiusura culturale a ogni rapporto con culture occidentali, un clima di terrore…. La creazione di uno stato ultra-islamico, tracciando confini ora in fase di consolidamento tra Iraq e Siria non è comunque una guerra all’occidente: è una guerra a ogni principio di apertura moderata, di tipo democratico, libertario, di riconoscimento delle libertà individuali della persona, che man mano si sta instaurando con sempre maggior solidità nel mondo musulmano. E le primavere arabe ne sono state un’espressione fresca e spontanea: giovani che rivendicavano (rivendicano) libertà di muoversi, di informazione libera, di avere una vita, un futuro, fatto delle speranze degli altri giovani del mondo.

Pertanto gli scontri tra sciiti e sunniti appaiono un pretesto per dimostrare la confusione progettuale di un mondo musulmano, “tentato” dai principi libertari di riconoscimento dei diritti fondamentali della persona (le donne in primis), e dall’altra la paura di perdere una propria identità certa, consolidata, ma che inesorabilmente si va sgretolando. Pertanto la possibilità concreta, con la guerra attuale in Iraq, di costituzione di una Stato islamico “puro”, ultra-conservatore, è forse frutto più della mancata elaborazione di un progetto politico-religioso del mondo islamico, accettabile per tutta la sua popolazione, che si integri virtuosamente nella contemporaneità del mondo globale, pur conservando dignità e profondo rispetto della propria fede religiosa. A nostro avviso qualcosa possiamo fare noi occidentali: sostenere in tutti i modi le forze islamiche che propugnano il dialogo, evitando che vengano soprafatte dalla violenza dei loro fratelli. a cura di Francis Marrash *

* Le fonti dell’articolo sono tratte da: Sebastiano Malamacco per geograficamente.

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