R. – Tragico, drammatico! Colpisce tutti, cristiani e musulmani, ma – bisogna riconoscerlo, ahimè – in modo particolare i cristiani e le altre minoranze e questo spesso soprattutto ad Aleppo: una città ormai massacrata, con una periferia totalmente distrutta, totalmente priva di elettricità e di acqua, anche con scarsità di viveri e con bombardamenti continui, soprattutto sui quartieri cristiani, anche se non solo su di loro…
D. – Come la gente cerca di portare avanti una vita che, sicuramente, non si può dire normale?
R. – In questa circostanza parlare di vita “vivibile” è certamente difficile… Naturalmente poi la vita deve sempre prevalere. Molti hanno cercato di andarsene, soprattutto dalla città di Aleppo verso Latakia e Tartus o fuori della Siria… Chi è restato – e sono soprattutto i poveri! – cerca di aiutarsi, l’uno l’altro, come può. Ad esempio, diverse sono le famiglie che, rimaste senza casa perché distrutta dai bombardamenti, sono state accolte da altre famiglie povere che vivevano in situazioni – anch’esse – molto precarie, ma che sono state capaci di essere solidali. Poi nelle chiese – quelle che ancora funzionano, perché molte sono distrutte, come quella ortodossa, quella armena, quella maronita, quella siriaca – tutti si ritrovano insieme. Cercano di starsi vicino, gli uni gli altri: quando non si può fare molto, si cerca di sostenersi moralmente a vicenda. E questa è una testimonianza che ho potuto constatare personalmente.
D. – Il pericolo viene dalla guerra civile in sé o anche delle scorribande del cosiddetto Stato Islamico?
R. – C’è un po’ di tutto… Naturalmente la paura principale, soprattutto per la zona di Aleppo, al Nord quindi, è l’espansione dello Stato Islamico, ma anche di al-Nusra, che sarebbe poi affiliato ad al Qaeda, e che pare si siano alleati… La domanda che tutti si facevano non era tanto sui bombardamenti, ai quali ahimè – e non voglio sembrare cinico – si erano un po’ abituati, ma su che cosa potrebbe succedere se arrivasse lo Stato Islamico. Si chiedono: “Che ne sarà di noi?”.
D. – Prevale lo sconforto e il dolore o lei ha notato che c’è ancora un filo di speranza?
R. – Lo sconforto è tanto e c’è anche tanta paura. Ma vedo che soprattutto i giovani sono molto determinati – quelli che sono rimasti – ad aiutarsi, a sostenersi, a fare qualcosa… Insomma a non lasciarsi prendere dalla sconforto, anche se – ripeto – la situazione è veramente drammatica e la paura è ancora tanta.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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