Siria: Persi i contatti con le suore di Maaloula

Da ieri si è perso ogni contatto con le 13 monache del monastero di Mar Takla della città di Maaloula rapite insieme a 3 inservienti dalle bande alqaediste e trattenute nel nord di Damasco, nella zona di Qalamoun. Secondo fonti vicine, sembra che le suore (nella foto potete vedere che non portano più il crocifisso), siano state trasferite fuori dalla città di Yabroud, in una zona vicina al confine libanese. “I contatti sono in corso per determinare il loro destino e per garantire la loro sicurezza; le autorità religiose rilasceranno presto una dichiarazione su questo problema umanitario”. I negoziati sono in corso da tempo, ma finora i rapitori hanno presentato richieste “difficili da raggiungere” per la liberazione dei detenuti. Le 13 suore –riferisce Paul Dakiki-, erano state rapite nel dicembre scorso insieme a tre ragazze loro ospiti e portate fuori dal monastero di Maaloula verso Yabrud, una cittadina sotto il controllo dei ribelli, nella zona nord-est di Damasco, vicina al confine col Libano. I rapitori hanno diffuso due video sulla loro cattività. In cambio della loro liberazione, essi hanno chiesto dapprima la libertà per tutte le donne prigioniere della Siria, poi quella di tutti i prigionieri politici. Negli ultimi giorni hanno aumentato le richieste, fra cui provvedere cibo per le città sotto il dominio dei ribelli e far allontanare l’esercito dai luoghi religiosi cristiani.

La situazione in Siria diventa ogni giorno più dura per la popolazione, distrutta dalla fame. Secondo alcune fonti, i ribelli appartengono a un gruppo affiliato ad Al Nusra, una derivazione di Al Qaeda, il cui capo sarebbe Abu Malek al-Kuwaiti. La situazione nel Paese si fa sempre più pesante dopo il fallimento dei dialoghi di pace a Ginevra. I combattimenti e i bombardamenti dei due fronti, insieme alle distruzioni di tre anni di guerra e all’enorme numero di sfollati – si parla di 9 milioni di siriani – hanno causato la penuria di cibo e spesso anche di acqua. A causa degli scontri violenti le organizzazioni umanitarie sono impossibilitate a portare aiuto. Sebbene a Ginevra Damasco e i ribelli avessero acconsentito ad aprire presto dei corridoi umanitari, i camion di viveri e medicinali vengono bloccati o depredati. Secondo l’analista Daveed Gartenstein-Ross la guerra in Siria – che il 15 marzo prossimo entrerà nel suo quarto anno – potrebbe durare ancora “10 anni o più”.

A complicare la situazione vi è da una parte il forte sostegno che viene ad Assad da Russia e Iran; dall’altra vi è un’opposizione – sostenuta da occidente e Arabia saudita – sfilacciata e divisa fra i “laici” del Free Syrian Army e gli islamisti radicali che combattono fra loro per la supremazia.

La televisione ufficiale saudita per la prima volta ha trasmesso le “confessioni” di un miliziano takfirista pentito, appena tornato dalla Siria. “La situazione in Siria non è come viene presentata nei media. Non c’è jihad”, ha detto Suleiman Al-Saud Soubaihi, di 25 anni, che ha combattuto nei ranghi dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante. Il giovane, noto con lo pseudonimo di “simpatico”, ha detto di aver deciso di unirsi alle bande dopo essere stato sconvolto dalla morte del fratello in Siria e di aver visto “immagini di bambini siriani uccisi.” Suo fratello, Abdel- Aziz è stato uno dei terroristi più pericolosi in Siria. Conosciuto come “l’abbattitore” o “criminale”, ha combattuto nelle file di Jabhat al-Nusra e, attraverso il suo account Twitter, aveva incoraggiato molti sauditi ad andare a combattere in Siria. E’ stato ucciso a Jobar nel luglio 2013. “La cosa sorprendente è che i sauditi uccidono sauditi nella lotta tra Daash e al-Nusra. Uccidono invece di combattere le forze del regime”, ha detto Suleiman. Il penitente ha detto di aver deciso di lasciare il gruppo alqaedista dopo aver scoperto che il suo profilo Twitter era stato utilizzato a sua insaputa per trasmettere “messaggi di incitamento” alla violenza contro i governanti sauditi; così ha deciso di fuggire in Turchia per poi tornare in Arabia Saudita, dove è detenuto. Nell’intervento ha rivelato che la maggior parte dei leader di Daash sono siriani e iracheni, mentre la maggior parte dei membri sono tunisini. Per quanto riguarda i sauditi, si è detto sorpreso per il fatto che fossero in maggioranza bambini: “La maggior parte di loro non erano interessati a ciò che stava accadendo in Siria”. Il numero di sauditi che combattono in Siria non è noto, alcune fonti sostengono che sono circa 12.000. a cura di Francis Marrash

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