L’arcivescovo maronita di Damasco, monsignor Samir Nassar, ribadisce con forza l’impegno della minoranza cristiana (circa il 5%) rimasta nel Paese a tessere relazioni e ponti di dialogo: “Tutto ciò che desideriamo è la pace e ringrazio Papa Francesco per i suoi continui appelli”. Cifre spaventose: 200mila morti, 4milioni di sfollati interni e altri due milioni e mezzo riparati in Paesi limitrofi.
Il 15 marzo la guerra in Siria compie cinque anni. Le proteste di piazza con cui parte della popolazione chiedeva riforme, libertà e diritti sono state sedate con la violenza dall’esercito del presidente Bashar al Assad, in carica dal 2000, timoroso che queste potessero essere preludio alla nascita di uno Stato islamico radicale sulla spinta di gruppi fondamentalisti legati a Paesi come l’Arabia Saudita e all’organizzazione terroristica Al Qaeda. All’esercito siriano si sono subito contrapposte diverse fazioni di combattenti, anche piuttosto divise tra loro. In pochi mesi si è passati dalle manifestazioni in piazza a una vera e propria guerra che a tutt’oggi, secondo cifre fornite dall’Osservatorio siriano per i Diritti Umani (Sohr), organizzazione non governativa con sede a Londra, ha provocato oltre 200mila morti, un terzo dei quali civili. I restanti sono tutti combattenti sia governativi (poco meno di 80mila) che anti-governativi moderati ed estremisti (oltre 60mila). Oggi la Siria è un Paese distrutto, devastato nelle sue infrastrutture, con oltre 4milioni di siriani sfollati interni e altri due milioni e mezzo riparati in Paesi limitrofi (Turchia, Giordania, Libano e Kurdistan iracheno). Città come Aleppo, assediata da mesi, Deir Al Zour, Homs, Kobane e Raqqa, quest’ultima dal novembre 2014 considerata quartier generale dello Stato Islamico (Is), insieme alla capitale Damasco sono state pesantemente colpite dagli scontri e hanno visto, forse irrimediabilmente, compromesso il grande patrimonio di arte e di storia che possedevano. Un Paese nel quale è entrato con altra violenza un terzo attore, quell’autoproclamato Califfo che risponde al nome di Abu Bakr Al Baghdadi che sta seminando terrore e sangue ovunque, sia di cristiani che di musulmani. Nonostante tutto c’è ancora chi ha la speranza e, soprattutto, il coraggio di credere nel futuro della Siria. È l’arcivescovo maronita di Damasco, monsignor Samir Nassar, che ribadisce con forza l’impegno della minoranza cristiana (circa il 5%) rimasta nel Paese a tessere relazioni e ponti di dialogo. “Tutto ciò che desideriamo è la pace e ringrazio Papa Francesco per i suoi continui appelli”.
Monsignor Nassar, dopo anni di violenza, distruzione e morte ha ancora senso parlare di futuro per la Siria, paese diviso, frammentato?
“Certamente. L’unico progetto che potrà garantire futuro al mio Paese è tornare a vivere insieme cristiani e musulmani. Il nostro futuro passa per la convivenza. Prima della guerra si viveva in pace. Non abbiamo mai capito abbastanza i motivi che hanno scatenato questa guerra. Nel 2011 si sono registrate manifestazioni pacifiche…”
Sedate, però, con le armi dalle forze armate del Presidente Assad…
“Data la complessità dei fatti è difficile dirlo con certezza. Le proteste si sono trasformate in conflitto armato, che pian piano è diventato regionale e adesso mondiale. Vi sono coinvolti ben 83 Paesi. Tante nazioni del Medio Oriente sono in fiamme, non solo la Siria e l’Iraq. Ci sono milioni di siriani in balìa delle violenze e che fuggono. La Siria è sempre stato un paese pacifico, che ha accolto rifugiati armeni, palestinesi, iracheni, libanesi, curdi. Adesso nessuno vuole accogliere i siriani. È molto triste”.
Si combatte un po’ ovunque, Aleppo è assediata da tempo, a Damasco invece?
“La città è nelle mani del presidente Assad, mentre le zone più periferiche sono controllate dai ribelli. Si combatte ogni giorno. La popolazione di Damasco cerca di vivere come può, tra tante difficoltà e ormai si è assuefatta ai combattimenti. Continua ad andare tutti i giorni a lavorare o a cercare come procurarsi il pane quotidiano. I siriani che sono all’estero non possono più aiutare i loro parenti rimasti nel Paese con rimesse in denaro perché è in atto un blocco dei versamenti verso la Siria. Chi ha scelto di emigrare all’estero non trova più un consolato aperto per chiedere un visto. Sono tutti chiusi. Anch’io, come tutti, ho paura. Mancano acqua, medicine, elettricità. Il valore della moneta è crollato. Chi può è andato all’estero”.
È d’accordo con chi sostiene che questo conflitto rientri nello scontro settario tra sciiti e sunniti?
“Lo scontro tra sciiti e sunniti è solo un aspetto del dossier Siria aperto sui tavoli delle grandi potenze. Da parte cristiana credo che la nostra missione sia tessere legami tra i diversi belligeranti. I cristiani rifuggono la guerra che sta colpendo tutti senza distinzioni”.
Dialogare, tra gli altri, anche con l’Is pare cosa difficile se non impossibile…
“L’Is combatte contro tutti. Ora che controlla alcune regioni irachene ricche di petrolio è nata la coalizione mondiale per fermarlo. Purtroppo la Siria è povera, non ha petrolio e quindi nessuno fa nulla per fermare l’Is in Siria”.
Chi ricostruirà la Siria, i siriani o i Paesi che se la stanno spartendo?
“La prima cosa è riportare la pace senza la quale non si può cominciare a ricostruire nulla, né le infrastrutture né i cuori. La Siria di adesso è un Paese fragile che vede combattere sul proprio suolo molte nazioni, molte fazioni, con tanti interessi. È difficile dire come finirà”.
Fonte. Agenzia SIR