I siriani hanno scelto Hassad. Le potenze occidentali con a capo gli Stati Uniti e gli alleati dei paesi arabi, temevano il risultato plebiscitario. Hanno cercato in tutti i modi di boicottare le elezioni. Secondo il punto di vista democratico, le elezioni non saranno riconosciute. Invece se le stesse sarebbero state vinte da un qualsiasi altro candidato erano legittime. Le foto, i video, che da qualche giorno i cittadini trasmettono, affermano il contrario: la Siria ha bisogno di stabilità. La pace può essere raggiunta quando tutti i mercenari e fondamentalisti islamici travestiti da ribelli contro il potere costituito, saranno allontanati. Il vero obiettivo dell’Occidente è quello di conquistare la Siria, per farla diventare una nazione ponte e gestirla secondo gli interessi di parte. La gente non vuole essere colonizzata. Non sente il bisogno di avere “la democrazia occidentale”. I segnali dei giorni scorsi, sono stati la prova più evidente del disagio politico internazionale. Robert Ford sembra sconvolto per gli ultimi successi del governo siriano: “Assad non lascerà, resterà, i suoi piedi sono cementati nella capitale.” L’ex ambasciatore degli Stati Uniti in Siria ha rivelato alla CNN che non riusciva più a stare dietro il suo governo: “Non ero più in una posizione in cui sentivo di poter difendere la politica americana … Non c’è davvero niente che possiamo indicare come un grande successo nella nostra politica, tranne la rimozione di circa il novanta per cento di alcune delle sostanze chimiche di Assad”.”Penso che veramente dobbiamo considerare attentamente se stiamo o non stiamo facendo tutto il possibile per aiutare i nostri amici in Siria”, ha continuato Ford lamentando che gli Usa non hanno avuto l’ardire di “andare oltre” e sostenere più ampiamente le bande armate in Siria. “Hanno bisogno di ottenere gli strumenti che devono avere per cambiare gli equilibri sul terreno, almeno in alcune località”, ha sostenuto a proposito del sostegno dei gruppi armati, precisando:“Avremo bisogno di amici sul terreno – soldati non americani, ma amici, siriani – che combattono i gruppi e dobbiamo aiutare queste persone nella loro lotta contro al Qaeda. E dobbiamo farlo con urgenza.” Ford – ovviamente – nelle sue parole ha completamente tralasciato di considerare il fatto che quelli che definisce “opposizione moderata” sono gli stessi che stanno combattendo a fianco di gruppi alqaedisti come Jabhat al-Nusra e che, quindi, non potrebbe aiutare ad abolire i terroristi, ma, al limite, l’opposto!
Ecco la risposta “democratica”dell’Europa alla Siria: “Il governo italiano ci impedisce di votare, ci priva del nostro diritto. Là, all’ambasciata, non puoi votare! Io credo che il futuro della Siria debba essere deciso dal popolo siriano, non dai governi degli altri paesi”. Queste sono le parole con cui Rustam Chehayed, cittadino italo-siriano, ha commentato la decisione di molti Paesi occidentali di non riconoscere le elezioni presidenziali svoltesi in Siria. Italia, Belgio, Francia e Germania, che non riconosceranno i risultati delle urne, si sono infatti accodati ai Paesi del Golfo, rifiutandosi di allestire seggi nelle ambasciate della Repubblica Araba di Siria. La tornata elettorale si era aperta il 28 maggio, giorno dedicato ai votanti residenti all’estero: ben il 95 per cento dei siriani espatriati ha espresso la propria preferenza nelle 43 ambasciate presenti in 40 Paesi amici, tra cui Libano, Giordania, Oman, Russia, Cipro, Iran, Cina, Indonesia, Malesia, Corea del Nord. In patria, i seggi sono aperti sono stati 9600, anche se non hanno coperto tutto il territorio siriano. L’affluenza, secondo le fonti governative, è stata tanto alta da convincere le autorità a prorogare l’apertura dei seggi fino alla mezzanotte locale, ore 23 in Italia. Nelle poche zone ancora controllate dai ribelli, come la città di al-Raqqua, nel nordest, non è stato possibile votare. Rustam Chehayed, come tanti altri, è tornato nel suo paese natale per esprimere la preferenza verso uno dei tre candidati: il comunista Maher Abdulhafiz Hajjar, l’uomo d’affari Hassan Abdullah al-Nouri e il presidente Bashar Hafez al-Assad. L’ordine dei candidati, le cui foto sono riportate nei rispettivi riquadri sulle schede, è stato scelto in base alla data di presentazione della lista. Il cinquantaquattrenne Hassan al-Nouri è un volto noto. Di ricca famiglia, ricevette una formazione occidentale, laureandosi alla School of Business dell’Università del Wiscosin. Si definisce «al 100 per cento educato all’americana, ma non americanizzato». Liberale, attinge dal bacino di votanti della classe media, dichiarandosi a favore del libero mercato e di un’influenza minima della politica sull’economia. I capi della “moderata” opposizione si stracciano le vesti accusando Assad di volere “elezioni di sangue”, mentre presenziano a banchetti e incontri nei lussuosi hotel turchi a cinque stelle, dove sono ospitati; il segretario della Nato Rasmussen grida alla farsa, mentre gioisce degli alleati che in Ucraina fanno il gioco delle potenze occidentali.
Un popolo è stato chiamato alle urne.Il panico della sconfitta ha cominciato a investire i conquistatori. Ora metteranno in atto strategie mediatiche per smentire contro la realtà, i risultati. Diranno che è stata una farsa. Le elezioni non hanno rispecchiato i loro interessi. I candidati alla presidenza (vedi foto) hanno riconosciuto la vittoria di Hassad: “Presidential Candidate al-Nouri congratulates Dr. Bashar al-Assad for “winning confidence from Syrian people”. Sono state rese note dal parlamento siriano le esatte percentuali di voto: Bashar Hafiz al-Assad ha ottenuto 11.319.723 voti, pari all’88,7%; Hassan Nouri 529.700 voti, ovvero il 4,3%; Maher Hajjar 372.301 voti, pari al 3,2%. Commenta una nota della presidenza siriana: “I siriani hanno ancora una volta dimostrato il loro attaccamento alla cultura della vita, della speranza e la loro sfida alla cultura della morte, al terrorismo e all’isolamento. Votando alle elezioni, i siriani hanno mostrato al mondo il loro attaccamento alla sovranità e la loro appartenenza alla patria, così come il loro desiderio di partecipare alla costruzione del loro Paese, nonostante le sfide che stanno affrontando.” di Francis Marrash