Sirigu e Darmian rappresentano l’ennesimo capitolo di una tradizione tutta italiana, che lega in modo inscindibile la prestigiosa maglia azzurra ai campi in terra battuta degli oratori. L’uno in Sardegna, l’altro in Lombardia, entrambi hanno infatti mosso i primi passi dietro a un pallone all’ombra di un campanile.
Quel campanile che nella provincia profonda costituisce ancora un luogo intorno al quale si snoda la vita della comunità. A Siniscola, per esempio, paese di duemila anime in provincia di Nuoro situato tra la Barbagia e la Costa Smeralda. È qui che, come altrove, l’oratorio della chiesa della Madonna di Fatima è un motivo di aggregazione per tanti giovani e giovanissimi che non ne avrebbero altrimenti. È qui che Sirigu ha iniziato a calciare il pallone per la prima volta.
Lo faceva non per respingerlo lontano dalla propria area, bensì per spedirlo nella porta avversaria. Aveva il fiuto del gol e la prestanza fisica, Salvatore. Ciò che tuttavia gli mancava per poter essere considerato un “numero nove” a tutti gli effetti era la resistenza sulla corsa. Una leggera forma d’asma, infatti, non gli permetteva di reggere il passo con i suoi compagni.
Un handicap grande quanto un’inezia, eppure capace di stroncare sul nascere le ambizioni di un piccolo campione. Non fu così per Salvatore Sirigu, che trovò nell’oratorio un luogo votato all’accoglienza piuttosto che all’esclusione. Il suo allenatore, guardando le manone di Salvatore, decise di offrire a questo attaccante mancato la possibilità di spostarsi tra i pali.
Un’intuizione che in pochi allora si sarebbero aspettati potesse rivelarsi così azzeccata. Tore, come lo chiamano in famiglia, si fece notare sin da subito, iniziò una lunga trafila tra squadre della sua provincia. Difendeva la porta del Puri e Forti, scuola calcio di Nuoro, quando fu notato dagli osservatori del Cagliari. Ma era lontano da casa che l’attendeva il trampolino di lancio verso il calcio che conta. Approdò a Venezia ancora quindicenne. Tre anni dopo passò al Palermo, dove nel corso tempo, grazie anche a un paio di stagioni passate in prestito in serie inferiori, seppe ritagliarsi spazi sempre più importanti. Nel 2010 arrivò la prima convocazione con la Nazionale maggiore, nel 2011 il passaggio multimilionario al Paris Saint Germain.
Un top club, come si dice in questi casi. Top club in cui Matteo Darmian è cresciuto, ha fatto qualche breve apparizione e da cui, alla fine, è stato anche scartato. Si tratta del Milan, dove Matteo arrivò quand’era ancora un bambino. Fu seguito dagli osservatori rossoneri in un campo d’oratorio a Rescaldina, paesino vicino Milano al confine con la provincia varesotta. È lo stesso Darmian che spiega il valore che una squadra d’oratorio rappresenta per un bambino. “Era bello far parte di un gruppo in cui tutti eravamo amici – racconta in un’intervista -. Quelli sono gli amici veri che rimangono tutta la vita al tuo fianco”.
Non il successo a tutti i costi, ma lo spirito di gruppo, la disciplina e il rispetto per l’avversario sono i primi insegnamento che Darmian riceve dall’attività calcistica svolta all’interno dell’oratorio. Un bagaglio che si è portato dietro anche una volta diventato appena un po’ più grande, quando non ancora maggiorenne ha calcato per la prima volta il prato verde di San Siro. E poi, le esperienze a Palermo e a Torino. Un percorso all’insegna dell’umiltà. Quest’anno in maglia granata ha raggiunto finalmente quella consacrazione che in molti, ai tempi delle giovanili nel Milan, non avevano dubbi sarebbe arrivata.
Consacrazione coronata dal “sogno mondiale” di questi giorni. Sirigu e Darmian in campo, mister Prandelli in panchina. Anche lui, guarda caso, cresciuto calcisticamente in un oratorio. Un posto che – afferma lo stesso Prandelli – “oggi andrebbe senz’altro riscoperto. Anzi, dovrebbe essere obbligatorio farlo frequentare ai ragazzini. Li aiuterebbe senza dubbio nel loro percorso umano”. di Federico Cenci per Zenit.org
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