Res Publica et Societas

Sisma: un mese dopo, segni di vita tra le rovine

Tutte le mattine, Vinicio Bizzoni attraversa cumuli di macerie intrisi d’acqua e apre l’officina in piazza Sagnotti ad Amatrice, dove costruiva infissi. Ma non ci sono più palazzi per metter le finestre: “sinceramente non so come sarà il mio futuro, è cambiato tutto.

Gli affetti, i rapporti tra la gente, il lavoro. E’ molto difficile, ma ho fiducia. Voglio continuare a lavorare, ‘se no che me magno?'”. Trenta chilometri più a valle, a Grisciano, Giampiero e Chiara hanno appena riaperto la ‘Vecchia ruota’: ci sono le facce stanche degli operai in piedi dalle 5, le stesse che c’erano anche prima della notte maledetta, e quelle dei volontari; i camionisti di passaggio sulla Salaria. Un primo e un contorno, 10 euro; un primo ed un secondo, 13. “I prezzi erano questi e restano questi. Ripartiamo, ma se non ci danno un container saremmo costretti a chiudere di nuovo”. Un mese dopo il terremoto cammini per le strade di Amatrice e Pescara del Tronto, Accumuli ed Arquata, ed hai sempre la stessa sensazione: cenni di vita spuntano fuori qua e là, tra i tondini di ferro arrugginito e i ricordi sommersi dalle macerie, almeno fino a quando la pioggia non avrà finito di cancellare anche quelli, riducendo tutto a poltiglia. I problemi sono tanti e fin quando, a primavera, non arriveranno le casette, tenere unite le comunità è impresa ardua: la sera piomba il freddo e colpisce duro nelle tende, la viabilità è ancora a dir poco complessa, le macerie sono ancora tutte dove le ha lasciate la scossa. Un immenso monumento all’orrore che costringe i vivi a vedere i morti ogni istante. E il turismo, vero volano economico di queste terre di montagna incuneate tra 4 regioni, è un lontano ricordo al quale al momento in pochi vogliono pensare. Ma tutta la zona è piena di agriturismi, alberghi, villaggi vacanza, sentieri per passeggiate e gite a cavallo: la sfida dunque non è solo ricostruire, ma riportare i turisti.

Eppure ci si prova, a ripartire. Anche se è dura. Sorgono comitati spontanei tra cittadini, perché stando uniti si è più forti, gli artigiani chiedono che le istituzioni realizzino delle aree dove poter riaprire botteghe e laboratori, gli allevatori si organizzano. Qualche campo comincia a chiudere e l’imperativo di tutti è via l’ultima tenda entro fine mese. Ce ne sono ancora tante, troppe. Sergio Pirozzi, il sindaco di Amatrice, dice che “non è più una situazione gestibile”. Ma non è così semplice, mandare la gente negli alberghi o nelle seconde case. Perché in molti hanno paura di non tornare mai più. E soprattutto, che la politica si dimentichi delle promesse fatte, lasciando ai superstiti soltanto una lunga agonia.

Emidio Chiappini è il titolare del supermercato Tigre di Amatrice, accanto all’ospedale che non ha retto. “Io non voglio andare via, siamo cinque soci, 8 famiglie, 15 persone in tutto con figli da 3 a 30 anni. Vogliamo ricostruire e continuare a lavorare qui, questo posto ha delle potenzialità grandissime, che la politica non ha mai capito. Ma devono aiutarci”. Le stesse parole di Simona Paoletti. ‘Si…moda’, il negozio di abbigliamento proprio sotto la torre civica, era il suo. “Sono una commerciante da 20 anni, se riparte l’economia riparte tutto il territorio. Bisogna fare in modo di tenere qui le famiglie ma è dura, più passano i giorni e più ci si rende conto di aver perso tutto, i sacrifici di una vita svaniti in un attimo. Abbiamo bisogno di una mano. Vera”.

Pescara del Tronto è ancora un immenso cumulo di macerie, i sopravvissuti accedono solo scortati dai vigili del fuoco per tentare di recuperare il possibile. Una processione mesta e quasi sempre infruttuosa. Il silenzio tra le case fa impressione; quattro piccioni si aggirano in cerca di cibo come fossero avvoltoi. Cento metri più a valle, sulla Salaria, il campo per gli sfollati chiuderà entro la fine della settimana.

Elisa Filipponi guarda il memoriale realizzato dai carabinieri, un pezzo d’albero sostenuto dalle macerie, con in cima il Tricolore. “Questo monumento ci dà una speranza per un nuovo inizio. Tutto quello che facciamo è per chi è rimasto e speriamo che i nostri sforzi non siano vani”.



Quello delle macerie è un problema serio: perché parliamo di 700mila metri cubi di rovine e perché prima si portano via e prima si può davvero cominciare a pensare ad altro. Ma anche in questo caso, non è cosa semplice, grazie alla solita, ottusa, burocrazia. Amatrice e Accumuli hanno almeno scelto i luoghi (due cave dismesse il località Carpellone e Vallicelle), ma manca l’individuazione dell’ente che dovrà gestire i siti. 

Marche e Umbria, invece, sono ancora più indietro, alla fase dei sopralluoghi per la scelta dei siti.

Così le macerie continuano a far da set alle tv. Davanti a Sant’Agostino, all’inizio del corso di Amatrice, le telecamere riprendono senza sosta. “Lo sai qual è la cosa più assurda? – dice Laura asciugandosi una lacrima – Prima del terremoto, da qui, la torre non si vedeva, c’erano i palazzi che la coprivano. Ma voi non lo sapete come era prima. Ecco perché non piangete”.




Redazione Papaboys (Fonte www.ansa.it)

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