Ignác Semmelweis viene chiamato “il salvatore delle madri” perché a Vienna, a metà ‘800, curò la “febbre puerperale” che procurava morti frequentissime tra le donne che partorivano,con due disposizioni banalissime: tutti coloro che entravano nel Padiglione I dovevano lavarsi le mani con una soluzione di cloruro di calce e, udite udite, con l’obbligo di cambiare tutte le lenzuola sporche con altre pulite.
Quelle che per noi oggi sono misure ovvie di educazione igienica minima furono per lui il risultato di studi accurati e di osservazione scientifica. Analizzò tutto quello che accadeva dal parto alla morte delle madri, dissezionò centinaia di cadaveri e capì che la febbre puerperale veniva trasferita da un corpo all’altro perché i medici prima praticavano l’autopsia sulle donne decedute e immediatamente dopo, senza lavarsi né tantomeno disinfettarsi, andavano a visitare in corsia le partorienti. La teoria era sconvolgente ma quando divenne una prassi i fatti gli diedero immediatamente ragione.
Oggi in Europa rispetto all’Isis siamo tutti come bambini che devono imparare a lavarsi le mani prima della merenda: non portare liquidi e forbicine al gate, affrontare i controlli di sicurezza con gioia e senza sbuffare, non allontanarsi da una valigia abbandonandola in un angolo, è imparare a combattere i germi. Sono cose piccole ma con effetti enormi che devono diventare parte della nostra cultura e della nostra storia personale.
In Europa l’Is potrà nulla o molto poco se nella lotta al terrorismo passeremo dall’essere lettori o spettatori a protagonisti. Dobbiamo essere tutti guerriglieri dell’acqua e sapone. Molto spesso le epidemie si bloccano sul nascere perché i genitori hanno imparato ad essere un po’ pediatri, a riconoscere le malattie dalla prima bolla, dal primo sfogo. Ce l’abbiamo fatta con le malattie esantematiche, non dobbiamo essere di meno con il terrorismo.
Maturare culturalmente è cambiare la percezione che abbiamo della nostra vita e della sicurezza della nostra vita. Lahore è qui da noi, nelle nostre case, non solo con le immagini, ma anche con la paura possibile, lo sgomento che contagia, il dolore che arriva. Dobbiamo studiare, leggere, approfondire, dissezionare ogni notizia come Ignác Semmelweis faceva nel suo reparto di ostetricia. Perché muoiono? Perché ci ammazzano? Qual è la causa? Chi è il mandante? Come prevenire? Come combattere? Non sono più domande accademiche, sono questioni quotidiane.
Io cittadino comune posso combattere il terrorismo se smetto di fare il politologo da bar e a chiedermi cos’è l’equivalente del lavarsi le mani prima di entrare in reparto, a interrogarmi su come riconoscere il morbillo-terrorismo, come prevenirlo, a pormi la questione dell’esistenza del vaccino. Non è da poco salutare i militari che piantonano le scale mobili in uscita e in entrata nelle metropolitane, ho provato a farlo: “buon giorno e grazie per quello che fate”. Sembra nulla ma l’effetto è forte, rumoroso e visibile, anche se ce ne accorgiamo solo io e il militare che piantona.
Il famoso tessuto sociale che il terrorismo con il suo solo nome corrode, strappa, divelte, si può ricucire solamente con piccoli punti da abile ricamatrice. Buon giorno e grazie per quello che fate, e via con il rammendo. Tacere e facilitare le operazioni di controllo al check in, e via con il rammendo. Sembra poco?Lo è ma è tutto quello che posso fare, e tutto quello che posso fare lo voglio fare, altrimenti è da dissennati scuotere la testa per le immagini di morte che scorrono sugli schermi dei nostri computer. Informiamoci. Collaboriamo. Ascoltiamo. Accogliamo. Ringraziamo. È come lavarsi le mani, non basta l’acqua e il sapone o il disinfettante. Bisogna girare e rigirare le mani una dentro l’altra e sciacquarle bene. Ve la ricordate mamma? Si deve vedere la schiuma nera e poi l’acqua pulita. La merenda arriva solo dopo.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffingtonpost
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