Cordiale e allegro, si scusa per l’informalità della sua tenuta accennando al caldo, e mi conduce nel suo bellissimo studio, dove i libri sono riposti in perfetto ordine. Immediatamente mi ricorda che quello è stato l’appartamento del cardinale Ratzinger, e allora lo guardo con un occhio diverso, cercando di immaginare lì la presenza mite e l’amore per lo studio del Papa emerito. Gerhard Müller, un gigante renano, è diverso dal suo illustre predecessore di cui sta curando l’opera omnia: è molto estroverso e quasi scherzoso, nell’accennare al fatto che non vuole parlarmi di donne ma piuttosto della Madonna. Riporto però la conversazione al nostro tema, quello dei suoi rapporti con le donne, e mi parla con straordinario affetto della madre.
«Penso che per ogni uomo costituisca un legame speciale, essendo legata alla sua venuta al mondo. Oggi ripenso a lei con lo sguardo di un adulto, e mi rendo conto che è stata il mio primo, e più importante, punto di riferimento per ogni esperienza, a cominciare dalla preghiera. La ricordo ancora la sera, seduta sul mio letto, che mi insegnava a pregare e a riconoscere la presenza di Gesù, un volto vero, un riferimento sicuro. Da lei ho ricevuto quel senso di fiducia originaria che è alla base di ogni fede, anche del rapporto di un bambino con Dio. Da lei ho capito che Dio si interessava veramente a me, che non era un astratto concetto filosofico. Nella stanza c’erano immagini di Maria, e siamo stati abituati fin da piccoli a rivolgerci alla Chiesa come a un aspetto del volto di Dio».
Il legame fra la famiglia e la parrocchia era vivo e costante: gli chiedo quale sia stata la reazione dei genitori alla sua scelta sacerdotale, avvenuta dopo la frequentazione del liceo cattolico locale dove aveva incontrato buoni insegnanti, e anche ottime professoresse, in particolare quelle di matematica e di inglese.
«A quanto mi ricordi, da sempre ho avuto il desiderio di intraprendere la via sacerdotale, come testimonia un aneddoto di famiglia: raccontava mia madre che un giorno — avevo quattro anni — abbiamo incontrato il vescovo di Magonza, Albert Stohr, un ottimo teologo, che mi aveva molto impressionato, tanto che ho esclamato: vorrei fare il vescovo da grande! Mia madre è stata una casalinga, molto attenta all’educazione dei quattro figli, due maschi e due femmine, che ha seguito sempre con sollecitudine e, se ci voleva, con severità. Mio padre era operaio alla Opel, ma per mantenere la famiglia numerosa lavorava anche come contadino. Le due sorelle maggiori sono state donne emancipate, impegnate nelle loro professioni, una insegnante nelle scuole elementari, l’altra impiegata in un’assicurazione. Oggi ho ventitré fra nipoti e pronipoti, e se qualcuno dice che noi sacerdoti siamo lontani dalla vita, penso a loro che mi tengono ben legato ai cambiamenti, ai problemi di oggi».
Alla mia domanda se, oltre a queste figure familiari, ha anche coltivato rapporti di amicizia con donne, rimane in silenzio qualche istante. Poi mi parla delle buone suore del suo asilo d’infanzia, che ha continuato a frequentare e negli anni successivi anche aiutato. Il suo ricordo va quindi alle giovani studentesse che ha incontrato quando insegnava, ma non sembra ci sia stato un rapporto di amicizia più stretto con qualcuna di loro.
Certo parla con affetto delle due suore bavaresi che vivono con lui da tanti anni e con lui hanno condiviso le sue esperienze pastorali. «Ricordo in particolare che una di loro si è occupata per quarant’anni di bambini abbandonati, soprattutto quei bambini figli di famiglie che si sono rotte, e che soffrono di solitudine e abbandono. Per me è stato molto importante ascoltarla, e condividere questa missione. Ho sempre pensato che il suo lavoro con i bambini fosse importante come il mio come vescovo». E non ha cambiato idea neppure da quando è prefetto: nella visita a Papa Francesco, quando gli ha presentato coloro che lavorano nella Congregazione, ha voluto che fossero presenti anche gli addetti alle pulizie.
Nella formazione di un cattolico colto c’è sempre spazio per libri scritti da donne, non è facile escluderle da una formazione teologico-spirituale. È stato così anche per il cardinale. «Naturalmente, è stata importante per me la lettura di Teresa d’Avila, insieme a quella dell’altra Teresa, quella di Lisieux. Ma ho studiato particolarmente Ildegarda di Bingen, alla quale ho dedicato tre saggi. Mi ha interessato soprattutto la sua teologia per immagini, una teologia che rivaluta i simboli e il loro potere come via di comprensione di realtà complesse. L’idea di arrivare a decifrare i misteri della teologia attraverso le immagini, quindi rivalutando la funzione dell’intuizione, equilibra la teologia razionale di Tommaso e della prima Scolastica. Sulla scia di Ildegarda, mi ha molto affascinato la mistica medievale femminile, dall’idea della Chiesa di Caterina alle visioni di Brigida di Svezia. Ma poi, certo, sono stato anche molto colpito da Edith Stein, dalla sua biografia oltre che dalle sue opere, scritte in un bellissimo tedesco. Grande importanza per me, come per tutti i credenti tedeschi, ha avuto Elisabetta di Turingia, contemporanea di san Francesco d’Assisi, che segue la sua stessa via di totale donazione ai poveri. Lei stessa, pur governando dopo la morte del marito, diventa povera e si occupa intensamente di miserabili e lebbrosi. È un grande esempio di donazione di sé e di gestione ammirevole del potere».
Ma qui passiamo ai problemi delle donne di oggi, che il cardinale ha conosciuto non solo in Germania, ma anche nei frequenti viaggi in America Latina. Lì Müller denuncia l’infelice condizione delle donne, che nasce dall’instabilità della vita familiare — circostanza che costringe sempre più donne a sostenere da sole il carico dei figli da mantenere ed educare — e da una mentalità che non esita a definire machista. Rammenta inoltre che, quando era vescovo di Ratisbona, ha collaborato strettamente con le diocesi dei Paesi dell’Est contro i trafficanti di donne immigrate che venivano portate in quelli occidentali con l’inganno, per fare le prostitute. E a questo proposito ricorda di avere incontrato molte difficoltà in ambienti politici.
Ovviamente la sua storia personale determina il suo atteggiamento nei confronti della collaborazione delle donne. «Oggi le donne sono collaboratrici benvenute negli uffici diocesani, dove svolgono tantissimi compiti, spesso direttivi, e ormai collaborano intensamente alla vita della Chiesa».
Alla mia osservazione che le donne aiutano ma si lamentano di essere poco ascoltate, si stupisce: la sua esperienza tedesca è molto diversa, lì le donne contano davvero, e il loro ruolo è riconosciuto ufficialmente — ricevono un salario — e non è solo assimilabile al volontariato. Anche nella congregazione per la dottrina della fede, Müller ha trovato già un buon numero di collaboratrici, che svolgono anche ruoli non secondari: non nasconde la stima per la sua segretaria, Clothilde Mason, e per altre collaboratrici, quasi tutte donne sposate con famiglia. E fa presente che si incontrano anche delle difficoltà a chiamare a collaborare presso la Congregazione delle teologhe che, se hanno famiglia, non sono disponibili a trasferirsi a Roma. Mi anticipa inoltre che la nuova Commissione teologica internazionale, che sta per essere nominata dal Papa, conterà un numero di donne maggiore di quella uscente: mi sembra di capire che passeranno da due a cinque o sei.
A proposito della presenza femminile nella vita della Chiesa — che lui individua come molto diversa da quella maschile anche per quanto riguarda la ricerca teologica — il cardinale ricorda uno scritto di Bergoglio sui gesuiti, nel quale il futuro Papa sottolinea come la differenza fra cattolici e calvinisti stia proprio nella capacità dei cattolici di prendere in considerazione anche le emozioni, e non solo l’intelletto, nella via che porta a Dio.
È una riflessione che colpisce, soprattutto oggi che le confessioni protestanti hanno aperto le porte al ministero femminile, e quindi apparentemente sono più “femministe” di quella cattolica: Müller sottolinea in questo modo come la presenza femminile debba essere riconosciuta nella sua specificità, non nel suo imitare il modello maschile. Per questo egli insiste sul fatto che bisogna ricordare che la Chiesa deve essere madre, non istituzione, perché un’istituzione non si può amare, una madre sì. E modello della Chiesa è proprio la famiglia, prima Chiesa domestica, in cui le donne svolgono un ruolo decisivo ma diverso.
L’ultima domanda è la più scottante, sulla conflittuale vicenda delle suore americane della Leadership Conference of Women Religious, con le quali il cardinale ha recentemente sostenuto una complessa trattativa. «Intanto dobbiamo tenere presente che non sono tutte le suore americane, ma un gruppo di suore del Nord America riunite in un’associazione. Abbiamo ricevuto molte lettere addolorate di altre suore, appartenenti alle stesse congregazioni, che soffrono molto per l’indirizzo che esse danno alla loro missione. E poi le congregazioni non hanno più vocazioni, rischiano di estinguersi. Abbiamo cercato innanzi tutto di stabilire un rapporto meno conflittuale, di far calare la tensione, anche grazie al vescovo Sartain che abbiamo mandato a trattare con loro, un uomo molto mite. Dobbiamo innanzi tutto chiarire che non siamo misogini, non vogliamo mangiare ogni giorno una donna! Abbiamo senza dubbio un diverso concetto di vita religiosa, ma speriamo di aiutarle a ritrovare la loro identità».
Senza dubbio il cardinale Müller, il tedesco che dopo lo statunitense Levada è succeduto a Ratzinger nella posizione forse più difficile nel governo della Chiesa, vuole instaurare con le donne rapporti cordiali e aperti, di vera collaborazione, senza pensare a grandi rivoluzioni interne.
Nato a Finthen nel 1947, il cardinale Gerhard Ludwig Müller è prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Teologo, nel 1977 conseguì il dottorato in teologia sotto la guida di Karl Lehmann con una tesi su Dietrich Bonhoeffer. Il servizio è stato realizzato da Lucetta Scaraffia / L’Osservatore Romano, 1° settembre 2014.
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