Anche nel nostro mondo c’è questo duplice aspetto: c’è una solitudine che isola, fatta di drammi e di tenebre; c’è una solitudine scelta e per vocazione, che diventa luogo magnetico e di riferimento, dove si può attingere il cibo della Verità e della speranza.
E dalla solitudine può ripartire un nuovo stile di missione, una nuova forma di identità spirituale. Non solo perché in essa ci si riposa (cosa che il Vangelo descrive come possibilità non attuata) ma sopratutto perché in essa si riposano coloro che vi fanno riferimento: accorreva quella gente, come pecore senza pastore. E dalla confusione e dalla dispersione ecco che il luogo della solitudine diventa il luogo della formazione, della risistemazione e della comunione ricreata.
Non dobbiamo aver paura della solitudine che Dio ci dà, ma soltanto di quella che non ci dà e che creiamo noi senza di Lui.
Quella che Dio ci dà permette a noi di essere meglio con Lui.
Forse anche noi, come nel caso del Vangelo, non riusciremo a trovare riposo concretamente, ma otterremo qualcosa di più: che altri trovino in noi riferimento per il loro riposo, ridonando così anche a noi stessi una rinnovata identità e valore come amici di Gesù.
La solitudine fa bene comunque, sia per chi la cerca, sia per chi la offre.
Don Luciano Sanvito
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