«Per questa santa unzione e la sua piissima misericordia…». Il sacerdote avanza accompagnato da un medico in camice bianco. L’interno è quello della basilica di Santa Bernadette a Lourdes, aldilà del Gave. Le carrozzine schierate, i malati in paziente attesa. Anche bambini, molto piccoli. A ognuno il sacerdote ripete il gesto dell’unzione degli infermi. Si forma la coda di chi cammina con le proprie gambe: apparentemente sane ma… a esse si uniscono anche volontari – dame e barellieri – e medici.
È in questi casi che si ha l’evidenza – a Lourdes, e non solo – che ormai la schematizzazione «sano»/«malato» è superata e, in alcuni casi, non ha più senso.
Il Santuario francese è da anni impegnato in un ripensamento dell’accoglienza dei malati che lì vi giungono; e così anche le organizzazioni di pellegrinaggi. Le file di barelle schierate di fronte alla Grotta sono ormai immagini del passato. I malati più gravi spesso faticano ad arrivare a Lourdes anche perché i medici che li hanno in cura nei loro luoghi di residenza sono contrari al viaggio che devono affrontare – lunghissimo, interminabile sia in treno, sia in pullman – pur a fronte di una costante assistenza medico-infermieristica nel corso del pellegrinaggio.
Ma molti malati che arrivano a Lourdes – anche gravi – non intendono più risiedere nei tradizionali Accueil, ossia le strutture preposte per accogliere al meglio i malati. Vogliono andare in albergo perché così sono abituati. E pertanto anche le diverse organizzazioni di pellegrinaggi hanno dovuto compiere un cambiamento di prospettiva. Non più un responsabile d’albergo semplice accompagnatore di pellegrini ma anche, al contempo, figura capace di cogliere le necessità più disparate. Un soggetto capace di ascoltare nel silenzio persone che vivono un malessere profondo, una depressione, come se fosse un confessore «laico». Mali non fisici ma che scuotono l’intimo della persona. Ma come detto malati possono essere anche persone del personale. Uomini e donne, anche giovani, apparentemente senza alcun problema ma che, al contrario, presentano un mese e mezzo di vita davanti a loro.
Persone che decidono di compiere questo ultimo viaggio a Lourdes offrendo come ultimo gesto di vita questo servizio. Senza dimenticare che «malati» che una volta sarebbero stati posti tra le persone servite ora sono tra quelli impegnati a servire nei refettori o nell’accompagnare le persone con le carrozzine. Cosa potrebbe fare altrimenti un ragazzo down perfettamente integrato nella sua vita di tutti giorni che lavora e studia senza alcun problema? E cosa dire di giovani malati – per esempio reduci da un incidente stradale – condannati su una carrozzina ma che nella vita di tutti i giorni lavorano, studiano e vivono da soli? Come accoglierli in un pellegrinaggio senza ripetere «cliché» che forse ora suonano superati? Sono domande, come detto, a cui il Santuario e il Bureau Medical di Lourdes da anni non si sottraggono. E così anche le principali organizzazioni di pellegrinaggi, italiane in testa.
Una delle esperienze più interessanti che si possono incontrare a Lourdes è l’inglese Hcpt fondata da Michael Strode. Nei loro pellegrinaggi è difficile distinguere il sano dal malato o meglio comprendere chi aiuta chi. È un’autentica famiglia che cammina insieme e che si aiuta vicendevolmente. Senza rigidità. Con un clima gioioso – che in ogni caso anima tutti i pellegrinaggi a Lourdes, in particolare se tra i volontari vi sono giovani – reso ancora più evidente perché non vi sono distinzioni. Pur in un periodo di forte calo di presenze il pellegrinaggio organizzato a Lourdes non ha perso smalto. Non è arrivato al suo capolinea. Deve solo trovare nuove forme ed essere autenticamente al passo con i tempi. Perché malati e sani lo si può essere tutti nello stesso momento.
di Edoardo Caprino, scrittore, autore di «Interviste su Lourdes» (Edizioni San Paolo)
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