Ad Arezzo, da un gruppo di persone con handicap animato dal Cenacolo francescano, è nata una vera casa di produzione cinematografica il cui metodo è diventato un modello
«Te che sei un giornalista… sai dirmi quand’è che il Papa viene a trovarci ad Arezzo?». Luca pone la domanda a bruciapelo, afferrandomi per il polso e avvicinando la sua bocca all’orecchio. Ho appena varcato la soglia della stanza dove i “ragazzi del sabato” si ritrovano per fare merenda prima della “loro” Messa. Intanto vassoi di torte e ciambelle entrano ed escono dalla stanza affollata dalle risate di questi ragazzi speciali, dai loro accompagnatori, dai membri del Cenacolo francescano che a fatica si districano nel labirinto di sedie a rotelle e tavoli, in una allegria semplice e palpabile.
Di fronte a Luca, “il Paolone” si mette a ridere a più non posso, con il suo fare tremolante e ondeggiante mentre si sfrega le mani. Un’imitazione di Valentino Rossi come solo lui sa fare. Poi subito in chiesa per l’Eucaristia. Una Messa un po’ più rumorosa del solito forse, ma che, sabato dopo sabato, nel corso dei decenni è diventata punto di riferimento ad Arezzo per i ragazzi disabili e le loro famiglie.
Questa storia affonda le sue radici all’inizio degli anni Settanta quando l’handicap per molti era ancora un tabù. «Tutto iniziò per l’esigenza di una famiglia», spiega padre Luigi Savi, guardiano del convento dei Cappuccini di Arezzo. «Col tempo abbiamo compreso il valore grande che questi amici ci portavano. Il Tony, Luca, Sandro sono stati dei grandi maestri, un dono di Dio. E se dopo tanti anni abbiamo questa esperienza, un piccolo fiore, lo si deve a loro. I nostri ragazzi del sabato sono dei teologi che ci insegnano l’importanza dell’accoglienza, del saper dare umanità, donare il cuore».
Un seme che è via via cresciuto. Ha dato vita a una comunità dove l’attenzione per la disabilità è nata per rispondere a una necessità concreta. Uno spirito che ha le sue fondamenta nell’Ordine francescano secolare. «Stare a contatto con i nostri ragazzi ci ha rafforzato nella fede», spiega Dino Zammuto, il “ministro” del gruppo. «Allo stesso tempo, la spiritualità tipica del nostro carisma ci ha aiutati a trovare le motivazioni per proseguire in questa attenzione agli ultimi, dove noi alla fine riceviamo molto di più di quanto diamo». Così, con il passare degli anni, le esigenze crescono e le iniziative si moltiplicano. La comunità del Cenacolo diventa anche un’associazione e una cooperativa di tipo B.
La realtà della Poti Pictures (www.potipictures.com) difficilmente può essere compresa fino in fondo se non se ne conosce questo antefatto. A partire dal nome, che evoca la montagna (l’Alpe di Poti, la collina sopra Arezzo) dove da decenni si svolgono le vacanze estive degli amici del Cenacolo francescano. È qui che, una dozzina di anni fa, è nata quasi per gioco, con una “telecamerina” e qualche “filmino”, l’idea di promuovere la disabilità utilizzando il linguaggio del cinema.
Daniele Bonarini, il regista, studia, si forma, fa esperienza. I ragazzi si divertono e migliorano, sia dentro che fuori dal set. Così, di “filmino” in “filmino”, la qualità dei video cresce. Arrivano iniziative sempre più importanti, nasce una vera e propria casa di produzione cinematografica. I video iniziano a circolare e arrivano le selezioni ai festival (Londra, New York, Dallas, San Francisco, Los Angeles, Toyama, Bagdad) insieme a successi e riconoscimenti. La cooperativa Il Cenacolo investe nel progetto fino a far diventare la Poti Pictures un suo ramo d’azienda. Si arriva a depositare il marchio presso l’Euipo, l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale. Questi riconoscono alla Poti Pictures di essere la prima e unica casa di produzione cinematografica sociale che realizza video con attori disabili.
Un’avventura unica nel suo genere. Si può leggere nel libro intitolato Sarò una star. La vera storia della Poti Pictures, edito da Fuori Onda. L’autore è Andrea Dalla Verde, vicedirettore della Caritas di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, nonchè uno dei fondatori della casa di produzione. «Ho voluto raccontare questa storia di “folle normalità”. Dai cortometraggi amatoriali all’interesse del mondo accademico per il metodo Poti Pictures, fino al sogno, che sta diventando realtà, di un film in cui attori con disabilità intellettive si confrontano con le più grandi celebrità del nostro cinema», spiega Dalla Verde. «Una storia che racconta l’avventura di un gruppo di giovani che vogliono fare promozione sociale senza cadere nel pietismo». «Il linguaggio dell’arte è perfetto per promuovere una visione normalizzante della disabilità», aggiunge Bonarini. «Il cinema in questo è straordinario. Quello che cerchiamo di fare non sono video sulla disabilità, ma film dove attori disabili recitano una parte come attori “normali” in una qualsiasi altra opera. L’obiettivo di fondo è mostrare come la forza di un’idea possa trasformarsi in un progetto di portata universale».
Alla base di tutto c’è un gruppo di giovani che continua a seguire un sogno. Un sogno disegnato con le tinte della spensieratezza, delle risate a crepapelle, delle lacrime di gioia. Un sogno che si scontra con la dura realtà, con i conti che devono tornare. Un’altalena di emozioni che risulta un inno alla speranza in questa “epoca delle passioni tristi”. Una testimonianza sul potere dei sogni in un mondo dove, la cantilena che «nulla può cambiare», ha contagiato le masse e dove chi ci prova viene guardato con un po’ di compassione.
Di Luca Primavera per FamigliaCristiana.it
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