Rimasto coinvolto nella strage del 14 luglio scorso, il 71enne piemontese da qualche settimana è al Centro Protesi Inail di Vigorso di Budrio: con una prima protesi ha già ricominciato a camminare. “Tornerò a Nizza: i miei nipoti ci sono affezionati, là hanno tanti amici”.
“Mi piacerebbe fare un viaggio con mia moglie. Decidere da un giorno all’altro, senza programmare nulla. Avevamo un camper, l’abbiamo venduto pochi mesi fa. Potremmo comprarne uno nuovo e partire con quello”. Gaetano Moscato sorride mentre immagina la prossima destinazione. Sono passati esattamente cinque mesi dal giorno che gli ha cambiato la vita. Già, perché Gaetano Moscato, 71enne di Chiaverano, provincia di Torino (“Ma ho sempre vissuto a Ivrea”, specifica con orgoglio), lo scorso 14 luglio stava passeggiando con la figlia e i nipoti di 12 e 18 anni sulla Promenade des Anglais di Nizza quando il tir del kamikaze Mohamed Lahouaiej Bouhlel, lanciato a grande velocità, uccise 86 persone e ne ferì oltre 300 .
“Noi stavamo rincasando, erano circa le 23.30. Ricordo che vidi il tir arrivare da lontano: prima su un marciapiedi, poi sulla strada, piena di gente lì per vedere i fuochi d’artificio. D’istinto, spinsi via i miei nipoti e mia figlia, e il camion piombò su di me, sulla mia gamba sinistra, tranciandola”. E mentre racconta, si scusa per gli occhi pieni di lacrime. Da poche settimane Moscato è ricoverato al Centro Protesi Inail di Vigorso di Budrio. Seduto a fianco dello staff medico, continua: “La gamba sanguinava moltissimo, chiesi ai miei nipoti di cercare aiuto. Mentre fermavano l’emorragia con una cintura mi guardai intorno: uno sterminio. La mia ambulanza arrivò dopo 40 minuti: c’erano talmente tanti feriti. Il dottore mi disse immediatamente che la mia gamba non poteva più essere recuperata”.
Moscato, dipendente Olivetti oggi in pensione, è stato ricoverato all’Ospedale nizzardo Pasteur sino al 2 settembre. Poi, un mese in un’altra clinica di riabilitazione francese, infine il rientro in Italia, in attesa che si liberasse un posto a Vigorso. “I miei figli si sono messi immediatamente alla ricerca della soluzione migliore. Hanno trovato questo centro e mi hanno subito convinto a venire qui”.
L’ingresso, lo scorso 22 novembre. Al momento indossa una prima protesi, adatta anche all’acqua. La porterà con sé quando a Natale tornerà a casa per qualche giorno, ma a gennaio ritornerà in Emilia. “L’obiettivo della prima fornitura è consentire al paziente una deambulazione libera. Tra qualche mese speriamo di arrivare a una protesi più avanzata per riottenere la funzione perduta”, confermano Gennaro Verni, direttore tecnico del Centro protesi, e Amedeo Amoresano, primario fisiatra.
Reparto protesi transfemorali |
“Sono qui da quasi un mese e comincio a
vedere i primi risultati – ammette Moscato –. In Francia mi sono trovato benissimo, medici e infermieri sono stati per noi una seconda famiglia. Ma l’aria di casa è un’altra cosa. Sono felice di essere qui, come sarò felice quando finalmente tornerò a Chiaverano”. Solitamente, per gli invalidi civili le cure sono in parte sostenute dal servizio sanitario nazionale e in parte a carico loro, ma nel caso di Moscato saranno coperte dall’assicurazione francese per le vittime di terrorismo.
Oggi le sue giornate sono scandite da fisioterapia, ginnastica e riabilitazione (“Sono sempre stato uno sportivo, questo mi aiuta. Per adesso uso le stampelle, anche la mia parte superiore deve essere in forze”). Ma il pensiero va costantemente alla famiglia: “Io e mia moglie abbiamo festeggiato 50 anni di matrimonio quando ero ricoverato a Nizza. Non mi ha mai lasciato. Mai. Ci hanno dato una stanza, quasi una suite – scherza –. Lei sorride sempre. Forse tutti i bei rapporti che abbiamo costruito in questi mesi sono merito suo”.
Con altre persone rimaste ferite nell’attentato, Moscato è rimasto in contatto: “Sette, otto italiani con cui stiamo decidendo se fare causa al governo francese o alla città di Nizza per non averci protetto. Siamo stati colpiti da una persona che avrebbe potuto essere fermata, ma della quale non si è occupato nessuno. Ma a Nizza tornerò: anni fa abbiamo comprato un appartamentino, i nostri nipoti ci sono affezionati, hanno tanti amici”. La più grande studia negli Stati Uniti: “Fa volontariato al Pronto Soccorso, è più abituata alle situazioni drammatiche. Il piccolo, invece, no”. In Francia hanno aperto una pratica a suo nome per eventuali conseguenze psicologiche dell’attentato, “ma per ora sembra stare bene”.
“Io sono sempre stato quello duro, che faceva coraggio agli altri. È stato così anche a Nizza: toccava a me tenere alto il morale degli altri feriti. Oggi, dopo 5 mesi, ogni volta che penso a quei momenti mi ritrovo a piangere. Gli psicologi dicono che è normale, ma è una cosa che non mi appartiene. Io, prima, non avevo mai pianto”.
Redazione Papaboys (Fonte www.redattoresociale.it/Ambra Maria)
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