Mentre i sacerdoti e i religiosi di altre Chiese e comunità cristiane hanno abbandonato la zona, a Yacoubieh e nel vicino villaggio di Knayeh sono rimaste aperte le due parrocchie affidate ai francescani, che continuano a assicurare la cura pastorale per le comunità locali, ridotte a poche centinaia di fedeli.
Padre Dhiya ha sempre cercato di tenersi fuori dalle questioni politiche e militari legate al conflitto siriano. Ha continuato a offrire il suo servizio pastorale ai parrocchiani e a promuovere iniziative di solidarietà concreta anche a favore dei tanti rifugiati musulmani arrivati in quei villaggi cristiani.
Pur di continuare a svolgere la sua missione nel luogo dove lo ha portato la sua vocazione, si è sottoposto alle disposizioni imposte dagli islamisti che vietano l’esposizione esterna delle croci e delle statue dei Santi, così come il suono delle campane.
Proprio questo suo rispetto delle regole imposte dall’”ordine islamista” rende enigmatico il caso del suo prelevamento, che appare tuttora immotivato.
Lo scorso ottobre anche l’altro francescano Hanna Jallouf OFM, parroco della chiesa di San Giuseppe, nel vicino villaggio di Knayeh, era stato prelevato insieme ad alcuni parrocchiani dai jihadisti di al-Nusra. In quell’occasione il prelevamento era avvenuto dopo che lo stesso padre Jallouf, per denunciare le espropriazioni e i saccheggi subiti dalla parrocchia da parte dei miliziani, aveva fatto ricorso al tribunale islamico, l’organo istituito nell’area sotto il controllo degli islamisti per amministrare la giustizia secondo la legge islamica. Padre Jallouf, e poi i suoi parrocchiani, erano stati rilasciati nel giro di pochi giorni. Adesso tutti si augurano che anche padre Dhiya possa presto far ritorno alla sua parrocchia.
Redazione Papaboys (Fonte www.avvenire.it)
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