Ora, il recente spot della Vodafone in cui Fabio Volo e due mamme lesbiche hanno un figlio, pone di nuovo con urgenza il problema del nome, e, prima ancora, del bisogno di riconoscere il significato della realtà omosessuale. Coloro che hanno criticato lo spot – non prendo neppure in considerazione le aggressioni omofobe – hanno soprattutto parlato della strumentalizzazione della realtà omosessuale a fini economici. Su questo bisogna intendersi. Non c’è dubbio che il pubblico omosessuale rappresenti un target commerciale molto importante per numerose aziende (alcune statistiche indicano che il mercato Lgbt, solo in Italia, vale oltre 20 miliardi ed è costituito da persone con un potere d’acquisto del 20% superiore alla media) ma questo non significa “strumentalizzare”, vuol dire semplicemente che un’azienda si accorge dell’esistenza di un mercato e gli va incontro. Non si tratta di lobbies di incappucciati che vogliono veicolare valori anticristiani ma di gente che conosce il proprio mestiere e vuol fare soldi. Per poter vendere i propri prodotti e servizi, le aziende hanno bisogno di tenere il polso della realtà, di camminare al suo passo. Se pensassi che Vodafone ha strumentalizzato il mondo omosessuale per vendere, dovrei allo stesso modo credere che per tanti anni Barilla, con i suoi spot del Mulino Bianco, ha “strumentalizzato” l’immagine classica della famiglia tradizionale. Ma non l’ho mai pensato. Ho sempre saputo che quello era semplicemente il loro target preferenziale perché chi compra le merendine ai figli sono i genitori. Semplicemente, Vodafone – come aveva fatto Ikea – prende atto che esiste un altro versante della società e ci si confronta, vi si rivolge. È ciò che deve fare un’azienda che vuole rimanere leader.
Come ha scritto sul blog Come Gesù il presidente de I mondi diversi Gaetano Di Sabato, la cosa importante che non vuole guardare chi parla di strumentalizzazione è che quello omosessuale è un fenomeno reale che nel mondo coinvolge milioni di persone, e che quindi l’unica cosa di certo sbagliata è far finta che non esista. So quanto è doloroso ammetterlo, ma solo quando si è riconosciuto che cattolici, luterani, valdesi, evangelici, testimoni di Geova intendevano cose diverse rispetto all’eucarestia, solo allora si è potuto chiamare le cose per nome e costruire la pace.
Lo spot di Vodafone può dispiacere a chi questo non lo vuole sapere, ma la visibilità – soprattutto se, come in questo caso, è delicata – è un gran bene. Anche se lo spunto viene da uno spot commerciale, è un gran bene che emerga, è un gran bene che se ne parli. Solo la visibilità della diversità consente di chiamare le cose per nome e di migliorare il paese. Infine, proprio in nome della chiarezza e della verità, devo aggiungere che sbaglia chi pensa che Papa Francesco possa arrivare ad attribuire al sostantivo “matrimonio” lo stesso contenuto che ad esso dà il mondo Lgbt.
Lunedì 17 novembre, il Papa apre in vaticano una tre giorni inter-religiosa sulla complementarietà uomo-donna “al fine di proporre di nuovo la bellezza della naturale unione dell’uomo e della donna nel matrimonio”. Se non vogliamo liberare i peggiori istinti omofobi come avvenuto contro lo spot Vodafone, cerchiamo nomi diversi per cose diverse, magari a cominciare dal matrimonio. Tra tutti dobbiamo coniare nuove parole riconosciute da tutti: conosco persone che chiamano la morte assistita, suicidio; adultero chi vive un secondo matrimonio, e così via. Credere che Vodafone faccia una pubblicità perché “esistono le lobby” chiude il cervello e isterilisce il pensiero. In Italia, la “potentissima lobby gay” non è riuscita ad ottenere neppure una misera leggina, dov’è la sua potenza? Quanto dolore, e quindi quanta ira e disperazione può sviluppare una cosa del genere? È tempo di coniare nuove parole, per riconoscere nuovi diritti, per costruire nuovi spazi di rispetto. È la realtà che ci interroga, e noi non sappiamo dirlo perché abbiamo solo le parole di prima. Che non sono vecchie, non sono da rottamare, ma sono altro, indicano altro. Ci vogliono parole nuove perché se no si litiga, ci si insulta, ci si irrigidisce. E, da rigidi, la verità sfugge. Non diventa più incontro. Da rigidi, la verità diventa scontro. Non crea più unione ma contusione. Da quando abbiamo parole nuove, coi luterani, valdesi, evangelici, noi cattolici possiamo parlare. Possiamo di nuovo discutere su cosa siano veramente la messa e l’eucarestia. Perché le parole giuste permettono di rispettare e quindi di dialogare. di Don Mauro Leonardi (Prete e scrittore) via Huffinghton post
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Ha detto che la potente lobby gay non è riuscita ad ottenere neanche una misera 'leggina'. Niente di più falso. Lei ha usato parole diverse per aver ragione ovvero per darsela da solo. Innanzitutto il problema non son i gay in quanto tali ma l'inserimento nell'ambito LGBT che ha ottenuto un ufficio dipendente direttamente dalla segreteria del senato UNAR con poteri pazzeschi specialmente se consideriamo la possibilità di inviare nelle scuole psicologi e sedicenti esperti x pubblicizzare la morale-cultura gender tesa ad abolire i generi sessuali. A tal fine sono stati stanziati poi 10 milioni di euro(con questa crisi!). Povera Italia, non aggiungo altro.
In un twit?
Le parole nuove spesso dicono solo una parte della verità
la nascondono o la deformano. Sono solo lo strumento di chi ti vuol fare accettare quello che tu non riconosci come vero