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Stati Uniti: Arturito è come Charlie, «ma con nostro figlio la terapia funziona»

Arturito muove le mani e i piedi, fa segno di sì e di no con la testa, schiocca la lingua quando vuole qualcosa. E sorride. Olga, la sua mamma, non pensava che avrebbe mai visto il giorno in cui il bambino, oggi di sei anni, sarebbe tornato a gioire di una passeggiata al parco, di una bolla di sapone, un aquilone nel cielo.

Nel 2012, quando Arturito aveva un anno, mamma Olga e papà Arthur Estopiñan, di Baltimora, erano disperati come la coppia britannica Chris Gard e Connie Yates. Anche il loro bambino, come il piccolo Charlie Gard, dopo qualche mese di sviluppo apparentemente normale, aveva cominciato a deperire. Anche per loro era arrivata la terribile diagnosi di una rara malattia genetica che distrugge le proteine che decodificano il Dna, una variante della sindrome da deplezione del Dna mitocondriale che ha colpito Charlie. Anche Olga e Arthur rimaneva solo la prospettiva di un rapido deterioramento degli organi del bimbo, a partire dei muscoli, del fegato e del cervello. «Arturito aveva meno di un anno. Abbiamo chiamato tutti i neurologi, tutti i pediatri negli Stati Uniti – spiega Arthur ad Avvenire – e abbiamo ricevuto decine di no. Lasciate perdere, portate a casa vostro figlio, staccatelo dal respiratore, lasciatelo morire, ci dicevano».

Ma la coppia ha passato settimane al telefono e su Internet, finché non ha trovato Michio Hirano. Il direttore del Centro per le malattie mitocondriali e metaboliche del Presbyterian hospital di New York da anni faceva ricerca all’avanguardia alla Columbia University su un trattamento per le malattie come quelle di Arturito e, ora, di Charlie.

Hirano non ha fatto nessuna promessa. Ma, per primo, ha dato alla coppia una speranza. Aveva sviluppato un medicina, ha detto, il monofosfato deoxynucleotide, che aveva dato buoni risultati sui topi di laboratorio. C’era un problema, però: la terapia non era mai stata sperimentata sugli esseri umani.

Arthur e Olga non hanno esitato. Per poter somministrare la medicina al piccolo, Hirano ha dovuto fare una domande d’urgenza alla Food and drug administration, l’agenzia che vigila sulla sicurezza dei farmaci negli Stati Uniti, che ha approvato il trattamento in pochi giorni sulla base di una «eccezione compassionevole», usata quando l’alternativa è la morte certa. Per Arturito ora c’era una possibilità, remota, ma una possibilità.

Hirano è lo stesso medico americano al quale si sono rivolti i genitori di Charlie. Da dicembre ha preparato per il piccolo britannico un protocollo di trattamento proprio sui risultati della sperimentazione di Arturito e su una manciata di altri casi. Da almeno sei mesi ha tutto pronto per somministrarlo. Raggiunto telefonicamente, il neurologo ha preferito non commentare sul caso di Charlie. Ma ha detto che il suo protocollo, sebbene sia allo stadio sperimentale e non sia una cura, è comunque un trattamento.




Arthur Estopiñan, che gli parla regolarmente, ha aggiunto che il medicinale testato dall’équipe di Hirano su Arturito è adesso arrivato alla seconda generazione. La prima ha salvato la vita di Arturito. Il suo cammino non è stato facile. Quando è stato ricoverato al Presbyterian hospital nel 2012 era in condizioni critiche. Dopo un mese di cure, si è ripreso abbastanza per essere trasferito all’ospedale Johns Hopkins di Baltimora, dove la famiglia si era trasferita da Washington per avere accesso a uno dei centri pediatrici più avanzati negli Usa. Il bimbo vi è rimasto un anno.
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«I progressi sono stai lenti – dice la 43enne Olga, che ha lasciato un lavoro di consulenza per seguire il figlio – ma continui». Dopo tre mesi, Arturito era già molto più forte, e nel 2013 il piccolo è tornato a casa. Da allora non ha fatto che migliorare, grazie a un’équipe di medici e infermieri che lo seguono senza sosta e alla dedizione dei genitori, che fanno a turno per somministrargli le medicine ogni quattro ore, lavarlo, vestirlo, portarlo fuori, intrattenerlo. «Arturito interagisce con noi – spiega il papà, di origine cubana – comprende spagnolo e inglese, conosce i numeri e le lettere». Un insegnante privato gli sta insegnando a leggere.
Oggi il bambino, che dipende da un tubo per la respirazione e l’alimentazione, resta in piedi per un’ora e mezza grazie a una speciale imbragatura e manipola piccoli oggetti.
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I suoi progressi hanno ispirato Chris e Connie a chiedere alla autorità britanniche, invano, di portare Charlie al Presbyterian Hospital e sottoporlo alle cure di Hirano. Gli Estopinan sono in contatto con loro da mesi, Arthur li ha visti due settimane fa a Londra, dove ha incontrato il piccolo Charlie. La loro vicenda lo tocca profondamente. «Se fossimo stati nel Regno Unito, nostro figlio sarebbe stato condannato a morte – dice –. È una decisione crudele. A me e a Olga si spezza il cuore per loro». La coppia invece ora può nutrire la speranza che per il loro piccolo sia trovata un giorno una cura. Nel frattempo, Olga ringrazia quotidianamente il cielo: «Nessuno può negare il miracolo che si è compiuto davanti ai nostri occhi».




Fonte www.avvenire.it

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