«Bambini, mamma è stata contattata da una regista della televisione per fare un film. Sarò un soldato». È questo il copione che Stefania racconta a Davide, 8 anni, e Brando, 6, prima di iniziare la chemioterapia per un cancro al seno. «Come fai a spiegare ai bambini una malattia così importante?
Avevo sempre portato i capelli lunghi, a loro piacevano tanto». Prima di tagliarli a zero ? «piuttosto che vederli cadere a ciocche ho preferito la rasatura totale» ? imbastisce per i figli una storia verosimile e affascinante: «Siamo una pattuglia scelta di donne, addestrate a combattere un cattivo, nome in codice “la bestia”. Se avremo la forza e il coraggio, alla fine vinceremo. E i capelli potranno ricrescere!». Una bugia a metà: la regista c’è e il film pure, così come le compagne di lotta e il nemico.
44 anni, romana, impiegata presso uno studio dentistico, Stefania Pirrotta è una delle protagoniste della serie che Tv2000 e Real time stanno mandando in onda in queste settimane, Kemioamiche. «Chiara (l’autrice della serie, ndr) è venuta a casa per le riprese e le telecamere hanno dato credibilità a questa mia bugia bianca. L’ho vista come il mio angelo custode, con la sua proposta mi ha aiutato a rimanere a galla. Ho ringraziato il Signore: me l’hai mandata tu!».
I colloqui con il Padreterno, racconta Stefania, in questi anni sono diventati molto più frequenti. «Sono sempre stata credente, abbiamo battezzato i miei figli, la domenica si va a Messa. Eppure la malattia mi ha dato un motivo in più per credere. Mio marito mi ha aiutato tantissimo, ma in questi momenti senti di aver bisogno di un amore ancora più forte, quell’amore impossibile che solo Dio ti dà e al quale ti affidi completamente».
UN PICCOLO SEGNALE
Tutto inizia nel dicembre del 2015. Brando è ancora piccolo, la sera si accuccia vicino a Stefania e con la manina va a cercare il suo seno, sempre nella stessa posizione. «Quando ho scoperto un piccolo avvallamento sul seno sinistro ho pensato che dipendesse da quell’abitudine, anche perché avevo fatto un controllo da appena sei mesi. Eppure quella cosa non mi convinceva e così sono andata dalla ginecologa». Mammografia tridimensionale, controlli più approfonditi e infine la Tac che rivela un carcinoma localizzato da trattare immediatamente. «Ho avuto tanta paura. Ho cercato di mantenere la calma e ho chiesto la forza al Signore. La mia preghiera era per i bambini: “Cerca di non togliere la mamma a questi piccoli”».
Stefania vive nelle periferia romana, a Casalbertone; la scuola dei bambini, tenuta da religiose, è attaccata alla parrocchia Santa Maria consolatrice. «La mattina li accompagnavo e poi entravo in chiesa, anche solo per un segno della croce e ripetevo: “Mi affido a te”».
Inizia così la lunga trafila che tante donne conoscono. Stefania va all’ospedale Gemelli, incontra il dottor Gianluca Franceschini: «Hai un tumore, ma io te lo risolverò». Il medico le dice che è stata bravissima e coraggiosa, «non hai messo la testa sotto la sabbia, non hai rimandato: questa “bestia” si stava sviluppando velocissima». Il 3 marzo viene operata, le asportano la ghiandola mammaria sinistra e subito le ricostruiscono il seno. «Fino all’operazione avevo parlato della cosa solo con mio marito. Ho un fratello disabile, non volevo che i miei genitori si preoccupassero anche per me». L’uscita dal Gemelli, poi, coinvolge tutta la famiglia. Per i bambini si è trattato di «una bolla sul seno tanto fastidiosa da dover essere tolta con un’operazione». Ai genitori, invece, si deve dire tutto. Anche perché dopo l’intervento cominciano sei mesi di chemioterapia. «Il tumore era grande, è andato tutto bene. Ma vorremmo che, oltre a essere una bella mamma, fossi anche una splendida nonna. Per prevenzione dobbiamo fare anche dei cicli di chemio», le dicono i medici.
Ai bambini racconta del film delle donne soldato e spiega che la parrucca servirà a mantenere l’anonimato, a non essere riconosciuta per strada dai fan. «Ho fatto otto cicli. Li ho affrontati con il sorriso sulle labbra, il Signore mi ha dato la forza, ha esaudito la mia preghiera».
AMICHE E ALLEATE
Il primo giorno di chemioterapia l’oncologa le parla del progetto di reality, le consiglia di considerare la proposta anche come aiuto psicologico alla terapia. Stefania è timida, mai avrebbe pensato di metterci la faccia. Eppure quando alla prima seduta incontra Chiara, «mi sono sentita in pace e ho detto di sì. Quando vivi un problema che potrebbe portarti alla morte, prendi tutti i treni che passano, ti aggrappi a tutto ciò che può farti stare bene». Da quell’incontro nasce un’amicizia profonda con le “chemiosorelle”. «Abbiamo provato la paura vera, essere alleate contro un qualcosa che andava sconfitto ci ha reso quasi sorelle. Abbiamo condiviso le cose più intime, abbiamo riso e pianto insieme. E la nostra testimonianza in questo reality è che dal cancro si può guarire».
Conclude Stefania: «Ho imparato che quando stai male la vita va comunque avanti e va vissuta, anche se non è perfetta. Devi trovare la strada, uno spiraglio. Oggi ringrazio Dio perché anche in quei momenti sono rimasta me stessa. E a chi mi chiedeva se non ero arrabbiata con Dio, rispondevo che anche lui è morto in croce e che proprio nel dolore me lo sono ritrovato più forte al mio fianco».
SU TV2000
Hanno vite ed età diverse, dai 28 ai 62 anni, ma sono accomunate dalla scoperta di un cancro al seno. Stefania, Laura, Manuela, Vanda, Giulia, Alessandra, Elisabetta, Carmen e Valentina sono le nove donne protagoniste della serie tv Kemioamiche, dal nome della chat creata da una di loro. La prima puntata è andata in onda su Tv2000 e Real Time il 4 febbraio, per la Giornata mondiale contro il tumore. Le successive sono trasmesse da Tv2000 in prima serata il martedì, a partire dal 7 febbraio, e su Real Time a marzo. La serie, creata da Chiara Salvo, segue l’esperienza delle protagoniste, dalla prima chemio passando per la caduta dei capelli fino a quando, nel castello di Bracciano, le donne si ritrovano cantando sulle note di Quello che le donne non dicono di Fiorella Mannoia: la chemio è finita e i capelli sono ricresciuti.
Fonte credere.it/Testo di Vittoria Prisciandaro