La nostra vita sulle pareti digitali del “Museo di Me Stesso”. Mentre Google ha riconosciuto agli utenti di Internet il diritto a cancellare la “memoria sgradita”, i social stanno continuando ad accumulare milioni di informazioni sui nostri gusti, le nostre amicizie, le nostre vacanze, i nostri lavori e, perfino, le nostre simpatie politiche. Siamo noi a fornirle spontaneamente. Non ci rendiamo conto che quello che oggi ci piace domani potrebbe risultare meno piacevole o non più così interessante. Per i “big data” dei social però non farà differenza. Tutto sarà mischiato insieme, senza gerarchia, per andare a scrivere in futuro un ritratto che, a dirla con Totò, sarà “la somma del totale”. Intel ha realizzato un software impressionante. Basta collegare il proprio account Facebook alla pagina “Museumofme” (Museo di me stesso) per ritrovare una vita intera di ricordi e avventure esposta e raccontata sulle mura avveniristiche e digitali di un museo della memoria. In un video di un paio di minuti finiscono ammucchiate alla rinfusa foto, musiche e parole fino all’apocalittico effetto speciale finale. Da brividi. Un minestrone post moderno dove le differenze e le sfumature che ci avevano così affascinato scompaiono in un attimo.
La confusione dei memorabilia nel “cimitero” dei social. Il fenomeno rischia veramente di sfuggire al nostro controllo. Nel 2013, solo negli Usa, sono morti circa 300mila utenti Facebook. I loro account sono stati abbandonati sul web ma non sono stati chiusi. Restano così a disposizione dei curiosi e dei perditempo che potranno, più o meno liberamente, rovistare nelle memorie che questi defunti non hanno avuto modo di portare via con sé. Le dimensione globali sono impressionanti. Gli esperti calcolano che nel mondo intero, solo negli ultimi dodici mesi, gli account “abbandonati” a causa della morte del titolare siano ormai diversi milioni. Un numero e una proporzione che cresceranno in modo esponenziale. Una specie di gigantesco giardino digitale dove le lapidi funerarie sono costruite con tutti i nostri “post”, “like”, “tweet”, eccetera.
L’inedita memoria del “qui e ora”. Si tratta di una novità assoluta dal punto di vista della storiografia. Dopo la rivoluzione degli “Annales”, gli storici potranno oggi cominciare a studiare un fenomeno completamente inedito dal punto di vista della scienza della memoria collettiva. Le vicende personali degli individui, infatti, saranno tramandate secondo il sentimento del “qui e ora” che caratterizza la nostra frenetica attività sui social. Non era mai successo prima, almeno, non con queste dimensioni. Le nostre “autobiografie involontarie e non autorizzate”, infatti, sono scritte sull’onda dell’istinto del momento: per il traffico, per un gol della squadra del cuore, per un innamoramento passeggero. Prima dei social, invece, la memoria doveva essere “riscritta” da qualcuno per essere tramandata. Nel passaggio avveniva un cambiamento anche semantico di alcuni ricordi. Una differenza che i social hanno cancellato.
Le biografie digitali saranno incomplete. La pigrizia da tastiera che ha cambiato le abitudini di giornalisti e storici renderà più scivoloso il crinale delle biografie del futuro. Già adesso è possibile vedere sui giornali gli account social dei personaggi che, per un qualche motivo, sono finiti sotto i riflettori della cronaca. Terroristi o eroi di strada. Si tratta però di dati incompleti. Una volta le biografie si costruivano scavando nei documenti. Adesso invece si lavora solo con lo sbrigativo strumento elettronico del “taglia e incolla”. “Il futuro delle biografie può sembrare rozzo, goffo e in qualche modo incompleto”, sentenzia Dominic Basulto del Washington Post.
Di Rino Farda per Agensir
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