Sidra ha solo dodici anni, è la più piccola di sette fratelli. Sidra è siriana, lei e la sua famiglia sono scappati dalla guerra, e vivono rifugiati in Libano dal 2013. All’inizio hanno vissuto in un garage, vicino Tripoli, suo padre era riuscito a trovare un lavoro come meccanico ma il lavoro è durato poco e con il lavoro anche la casa.
Oggi sono riusciti a trovare un alloggio transitorio nei pressi dell’ospedale di Beirut.Sidra è malata, ha bisogno di un trapianto di rene.Ma la sua famiglia non può sostenere i costi della sanità privata libanese. Per questo, le condizioni di Sidra peggiorano di giorno in giorno. «Una volta — racconta Sidra — mi sentivo stanchissima. Ho un vago ricordo di me che perdo i sensi e poi di me sveglia in ospedale. Ricordo che vedevo dal vetro mia madre parlare con i medici e piangere». Il medico stava dicendo alla madre di Sidra che il rene della bambina non funzionava. Sidra ha un solo rene. E il solo rene che ha non funziona. «Ho chiesto a mia mamma cosa significasse che il mio rene non funziona e lei mi ha spiegato che i reni puliscono il corpo, e il mio non era buono, e continuava a piangere, ininterrottamente. Sentivo le infermiere fuori dalla porta dire che senza trapianto sarei morta velocemente. È stato l’inizio del mio incubo».
La famiglia di Sidra ha fatto domanda per un resettlement, il trasferimento legale e sicuro in un altro paese. Per lei significherebbe la possibilità di un trapianto e una vita migliore. «La mia vita è attaccata alla dialisi che affronto quotidianamente» continua Sidra. «Io vorrei solo vivere come le mie sorelle, giocare. Essere spensierata e felice. Vedo i bambini che mangiano e io non riesco a mangiare, vedo i bambini giocare e io non ho le forze per farlo». Sua madre racconta che quando la tristezza vince sulla voglia di vivere, Sidra si chiude nella sua stanza e piange in silenzio. Sua madre dice che la sente piangere in silenzio tutte le sere, prima che si addormenti. Ogni sera lei teme che sia l’ultima per quella figlia che tanto ama. «Continuano a dirmi che il cuore di Sidra può fermarsi da un momento all’altro» dice la madre, in lacrime. «Ed è uno strazio continuare a vederla soffrire e spegnersi, e non poter fare nulla. Non posso neanche darle un bicchiere d’acqua se ha sete; ogni cosa della vita di Sidra deve essere controllata. Una bambina di dodici anni destinata a una esistenza di pillole e dialisi».
Sidra racconta di sentirsi esausta della dialisi. Ogni volta che sua madre la sveglia per andare in ospedale lei pensa solo al dolore della dialisi, allo strazio dei suoi genitori che la prendono in braccio, la portano giù per le scale e pazientemente le sono accanto durante le terapie. «Io la dialisi la chiamo la mia morte — dice Sidra — perché intorno a me vedo tanta gente soffrire e piangere. Vedo mio padre con la schiena spezzata dalla stanchezza che mi carica sulle sue spalle anche se non ha le forze, poi arrivo in ospedale e vedo malati sfiniti dal dolore. Per me la dialisi non è la possibilità di curarmi, per me equivale a una morte lenta e quotidiana».
Durante le sessioni di dialisi spesso la pressione di Sidra si alza troppo, e quando arrivano i medici i loro volti sono tesi e nervosi. Lei ripete sempre loro che è stanca, che non ce la fa più. «Durante ogni sessione sento come se fosse il mio ultimo giorno». Sidra non riesce più a vedere un futuro per lei, sta smarrendo sogni e speranza. «Quando ero in Siria ero una bambina felice, amavo la scuola, lo studio, i miei genitori erano fieri di me, ripetevano sempre che ero una bambina sveglia, intelligente e piena di buona volontà. Ogni tanto mi fermo a ricordare i giorni della scuola con nostalgia, ripeto a memoria le cose che ho imparato, e ricordo che a scuola, in Siria, le mie maestre erano soddisfatte della mia memoria e della mia curiosità».
Quando era in Siria, il sogno di Sidra era diventare un dottore. Diceva sempre ai suoi genitori: «Quando sarò grande mi occuperò di voi». Poi è iniziata la guerra e il destino della sua famiglia è diventato purtroppo uguale al destino di altri milioni di famiglie, costrette alla fuga, all’esodo, alla povertà, al sacrificio. Il Libano per tutti loro ha rappresentato una iniziale speranza, ma presto Sidra si è scontrata con le difficoltà e i drammi della vita dei profughi. Per due anni non ha potuto frequentare le scuole, perché nelle scuole libanesi non c’erano abbastanza posti per ospitare tutti i bambini rifugiati siriani.
Dopo due anni, sono cominciati i primi sintomi della malattia. «Ho paura che il mio sogno non si avvererà mai, perché forse morirò prima» dice la bambina tra le lacrime. «Vorrei svegliarmi la mattina e andare a scuola e non svegliarmi per andare alle sedute di dialisi. Sogno di svegliarmi con tutte le mie sorelle e indossare i nostri zaini per andare a scuola. Correre e giocare». Per fare questo Sidra ha bisogno di un rene nuovo, per sostituire l’unico che ha. Ma non può farlo in Libano, perché la sua famiglia non può affrontare le spese di una costosa sanità privata.
Fonte: www.osservatoreromano.va/it
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