Morì il 13 giugno 2012, stroncata a 28 anni da un tumore. La giovane romana aveva deciso di ritardare le cure per far nascere il figlio in grembo. Oggi continua a vivere nell’affetto della gente. Che la implora come una “nuova Gianna Beretta Molla”. Chiara Corbella è fra quegli esempi di vita cristiana che fanno salire la temperatura della fede.
A quattro anni esatti dalla scomparsa di questa giovane mamma – che ha sacrificato la sua vita per non uccidere il figlio in grembo – la si ricorda come una “nuova Gianna Beretta Molla”: la sua testimonianza ha varcato i confini e ora in tanti, in Italia ma non solo, la vedono come un modello di “santità feriale” dei nostri tempi.
Katia, ad esempio – mamma italiana di un bimbo di cinque anni, operato di tumore al cervello – racconta di avere affidato a Chiara suo figlio e di aver ricevuto una grazia tramite la sua intercessione: è una delle tante testimonianze che si trovano sul sito che prende il suo nome.
Chiara è una ventottenne romana che, per proteggere il figlio di cui è incinta, rimanda le terapie per curare un carcinoma alla lingua. «Ancora un giorno, ancora 38 grammi in più, prima del parto», ripeteva ai medici, per assicurare la completa formazione del feto. La scelta preserva il bambino, ma si rivela fatale per la madre, dato che il tumore si propaga velocemente in tutto il corpo.
Giusto il tempo per il battesimo e, dopo trenta minuti di vita, Maria Grazia Letizia «va in cielo delicatamente». «Grazie a questo evento, Chiara ha smesso di aver paura della morte», ricorda Enrico. Passano alcuni mesi e anche la seconda gravidanza si rivela problematica.
Al feto mancano gli arti inferiori e i coniugi Petrillo sono pronti ad accogliere un figlio disabile. Le patologie si riveleranno più gravi: Davide Giovanni segue la sorte della sorellina e morirà dopo mezz’ora di vita. Nonostante la grande sofferenza, «nel nostro cuore c’era tanta pace», continua Enrico. Quando Chiara resta incinta di Francesco, la famiglia esulta. Il bambino è sano, ma è la madre ad ammalarsi. Una piccola afta sulla lingua si rivela ben presto un carcinoma. Chiara inizierà solo dopo il parto le terapie per combattere “il drago”, il tumore violentissimo e rarissimo che l’aveva colpita.
La ragazza lotta strenuamente, soffre, spera. «Voleva vivere, con tutte le sue forze», spiega Enrico. Si sottopone a tutte le cure necessarie, come chemioterapia e radioterapia.
Le metastasi, però, avanzano e si diffondono ovunque: cervello, occhi, lingua, seno, reni, polmoni, fegato.
Dimessa dall’ospedale, i medici le danno pochi mesi di vita. «A quel punto, abbiamo organizzato un pellegrinaggio a Medjugorje, per chiedere alla Vergine Maria la guarigione. Ma anche perché ci aiutasse ad accogliere la grazia che Dio aveva pensato per noi», racconta Enrico. Chiara, malata terminale, dispensa sorrisi. «In lei vedevi la certezza dell’eternità. Non era spaventata: aveva occhi pieni di luce, di gioia, di gratitudine verso Dio. Era già risorta», ricorda Monica, fra i 40 compagni di quel viaggio. «Viveva l’attimo presente, il “qui e ora”, nulla più», aggiunge Maura.
Tanto che, negli ultimi tempi, Chiara pregava il marito di non rivelarle quanto le restava da vivere. Agli amici, a Medjugorje, Chiara dirà: «Ho sempre considerato un privilegio sapere in anticipo di morire, perché potevo dire “ti voglio bene” a tutti». E a sua madre: «Se il Signore ha scelto questo per me, vuol dire che è meglio così per me e per quanti mi sono intorno. Perciò io sono contenta». Le sue ultime parole saranno sulla sofferenza. Enrico, facendosi coraggio, le chiede se «quella croce è dolce». E lei, con un filo di voce: «Sì, è davvero dolcissima ». Ma è pur sempre una «collocazione provvisoria», felice espressione di don Tonino Bello che Chiara, vestita da sposa, vorrà fra le sue mani, nella tomba. «Chiara una donna che si sposa e genera dei figli: è la quotidianità vissuta alla luce della fede, è la santità a portata di mano», spiega fra Vito. E precisa: «Chiara ha portato avanti gravidanze difficili per un irrefrenabile impulso di amore. Il giorno della nascita di Maria è stato per lei un giorno felicissimo. Se invece avesse abortito, non lo sarebbe stato ». Trasformandola in mera “paladina antiabortista”, non se ne coglierebbe lo spirito autentico: «Chiara, infatti, provava grande compassione per le donne che abortiscono». La sua è stata «l’esperienza di una figlia di Dio che seminava del bene». Un immenso bene che, a un anno dalla morte di Chiara, continua a diffondersi nel mondo.
Redazione Papaboys (Fonte www.famigliacristiana.it/Paolo Affatato)
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