Strage in Turchia: 86 i morti accertati nell’attentato alla marcia pacifista ad Ankara, presumibilmente compiuto con due kamikaze, ma il bilancio potrebbe salire visto che tra i 186 feriti alcuni sono in gravissime condizioni. Il governo parla di attacco terroristico e proclama 3 giorni di lutto nazionale.
Dura la condanna della comunità internazionale. Da Nato e Ue anche l’appello a lottare uniti contro la minaccia del terrorismo. Cecilia Seppia
Le 10 di mattina ad Ankara quando due potenti esplosioni, interrompono la marcia per la pace, partita poco prima nei pressi della stazione, con centinaia di persone pronte a sfilare per chiedere la fine del conflitto con i separatisti curdi del Pkk. In un attimo sangue e terrore: i cadaveri riversi sul ciglio della strada, i feriti in gravissime condizioni, in terra bandiere e striscioni, mentre la polizia interviene con i gas lacrimogeni per disperdere la folla. Il governo dichiara subito “è un attacco terroristico”, mentre il leader del partito filocurdo Hdp, punta il dito contro lo schieramento del presidente Erdogan, l’Akp, accusato di avere “le mani insanguinate” e di sostenere il terrorismo, come già nella strage di luglio a Suruc.
Contro Erdogan in queste ore monta la protesta della piazza che lo chiama “assassino” e chiede a gran voce le sue dimissioni. Centinaia gli agenti in assetto antisommossa per evitare ulteriori escalation di violenza. Cerca di placare gli animi il premier Davutoglu che incita il popolo a restare unito davanti al “giorno più doloroso nella storia della Repubblica. La condanna unanime per la strage è arrivata dalla comunità internazionale: Washington parla di atto orribile e invoca una riflessione sulla sicurezza di tutta la regione. Lo stesso fanno la Nato, l’Ue persino Mosca con Putin che rilancia la necessità di consolidare azioni comuni contro la minaccia terroristica. La risposta più convincente al massacro di oggi arriva però dal Pkk che ha ordinato a tutti i suoi miliziani il cessate il fuoco unilaterale contro le forze di sicurezza turche, fino alle elezioni del 1° novembre.
Ancora ignota la matrice di questo massacro anche se l’ipotesi più accreditata è che siano stati due kamikaze. L’attacco è avvenuto in vista delle elezioni del primo novembre e mentre la Turchia è impegnata nella lotta contro l’Is in Siria. Eugenio Bonanata ha chiesto un commento ad Alberto Rosselli, esperto di area mediorientale e anatolica:
R. – Il massacro che si è verificato rientra in una strategia di destabilizzazione anche del processo democratico all’interno della Turchia. Ricordiamo che non tutta la popolazione turca è favorevole a uno scontro diretto con la minoranza curda che poi è una minoranza molto relativa. Diciamo che è un problema nel problema, nel senso che abbiamo già una crisi mediorientale molto forte, che riguarda la Siria, e questa crisi interna turca non fa che aggravare queste tensioni. In Siria, infatti, è presente una forte comunità curda.
D. – Chi ha interesse a destabilizzare la Turchia?
R. – L’Is ha, secondo me, qualche interesse a far sì che questa frizione tra curdi e turchi permanga. Ricordiamo, inoltre, che c’è un elemento nazionalista-fondamentalista che si rifà in qualche modo alla teoria panturanica e panturanista, che rigetta completamente il riconoscimento del Kurdistan. Che poi la società civile turca cerchi di esprimersi in qualche modo, come in occasione di una manifestazione così importante come quella che drammaticamente si è conclusa oggi, è un segnale positivo. Questo significa che una parte della società turca è favorevole non soltanto a una pacificazione con il Kurdistan e a un riconoscimento del popolo curdo, ma anche a una nuova politica non nazionalisticamente esacerbata.
D. – Con quale spirito il Paese si prepara ad affrontare la campagna elettorale?
R. – Sicuramente, non vorrei essere un cittadino turco: nel senso che il Paese è fortemente scosso. C’è da dire che la Turchia è un grande Paese con due anime: l’anima metropolitana, delle città, che è più propensa in qualche modo ad avanzare ipotesi di pacificazione e di cambio di rotta, mentre quello che è il grande ventre della Turchia, l’entroterra, l’altopiano anatolico, in questo periodo è fortemente influenzato dalle politiche estremiste islamiche. Non a caso, in questi ultimi sette-otto anni, lo stesso governo turco ha dovuto allontanarsi dalle vecchie posizioni laiche atatürkiste.
D. – Come valutare l’arresto del direttore del quotidiano “Zaman”, da sempre critico nei confronti del presidente Erdogan?
R. – L’arresto di un giornalista o di chi esprime opinioni riguardo a un determinato argomento è sintomo di illiberalità: su questo mi sembra che non ci sia nulla da aggiungere.
D. – Che tipo di conseguenze potranno esserci adesso, rispetto a quello che sta succedendo in Siria?
R. – Potrebbero essere in qualche modo vanificate le conseguenze negative, il contraccolpo negativo, da una presa di coscienza maggiore da parte del governo turco. Noi non sappiamo chi siano stati i mandanti: per il momento non si sa chi sia stato a effettuare l’attentato ma non credo nella casualità. Cioè, è una situazione che segnerà in qualche modo il cammino da qui alle prossime elezioni in Turchia e sicuramente susciterà dei contraccolpi anche in Siria, in seno alla comunità curda.
Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va)