Italiae et Ecclesia

Straordinari miracoli e prodigi di Santa Caterina da Siena

Migliaia di uomini e donne scendevano frettolosi dalle cime delle montagne, accorrevano dalle terre circostanti, quasi rispondessero al suono di una tromba misteriosa. Venivano per vedere Caterina, non pretendevano che parlasse, bastava la sua presenza per convertire le anime. Testimonianza di Fra Raimondo di Capua suo confessore:

Uno dei miracoli riconosciuti dalla Chiesa Cattolica risale all’ottobre del 1376, quando, in ritorno dalla corte papale di Avignone, passò a Varazze (località del savonese), curiosa di conoscere i luoghi che avevano dato i natali al beato Jacopo da Varagine.

Caterina ebbe però una spiacevole sorpresa: la cittadina si presentava malridotta e abbandonata a causa della peste che aveva decimato la popolazione. Caterina pregò intensamente per gli abitanti di Varazze affinché finisse il loro dolore e i cittadini furono liberati dal flagello. In cambio del prodigio la santa chiese ai varazzini di onorare il loro illustre concittadino, dedicando una cappella a suo nome e alla Santissima Trinità. In ricordo di quell’episodio miracoloso, Varazze eresse la santa di Siena a propria patrona dedicandole ogni anno, il 30 aprile, una delle processioni più famose d’Italia (seguita da un corteo storico che ne ripercorre le gesta).

Caterina non si tirava certo indietro in quella che era ormai divenuta la sua missione. Tommaso Caffarini rese questa testimonianza: «mi accorsi dei numerosi peccatori ricondotti da lei alla penitenza, fra essi alcuni che per quaranta anni non si erano confessati». Nella Legenda Maior fra Raimondo ricorda un’indemoniata guarita da Caterina e aggiunge che «come questa furono guariti anche molti altri».

Secondo un’altra testimonianza, di un frate, Francesco Malevolti, capitato alla Rocca proprio in quel tempo, accadde un giorno questo episodio: Un gruppo di uomini aveva portato alla Rocca un poveretto urlante e gemente legato con grosse funi sulla groppa di una cavalla. Lo scaricarono nel cortile del castello, lasciandolo però tutto legato e standogli a una certa distanza. Caterina, scesa in cortile con la contessa Salimbeni, si prese dal malcapitato tutta una serie di urlacci e d’insulti gridati a gran voce. Lei ordinò a chi lo aveva portato fin lì di scioglierlo «e non lo torturino a quel modo». Anzi, gli andò vicino e disse, alzando la voce in tono di comando: «In nome di Gesù Cristo, scioglietelo». E quello diventò subito mansueto e si distese per terra ai piedi di Caterina. Quando fu slegato, era pressoché svenuto e Caterina ordinò: «Adesso alzatelo, portatelo dentro e dategli qualcosa da mangiare, ormai ha solo una grande debolezza». Così fu fatto. Il poveretto, tornato in sé, era meravigliatissimo di trovarsi in quel luogo, tra quella gente. Non ricordava né di aver dato in escandescenze, né di essere stato legato. Era perfettamente guarito, insomma. Come, dopo di lui, molti altri. E di queste guarigioni si parlò a lungo in tutta la valle.

Caterina voleva andare a portare la pace anche tra questi fratelli, appena si diffondeva la notizia del suo arrivo, intere folle accorrevano. Raimondo da Capua, che era presente, scrisse poi: «Ho visto migliaia di uomini e di donne scendere frettolosi dalle cime delle montagne, accorrere dalle terre circostanti, quasi rispondessero al suono di una tromba misteriosa. Venivano per vederla, non pretendevano che parlasse, bastava la sua presenza per convertire le anime e muoverle a contrizione. Tutti piangevano i propri peccati e si accostavano al sacramento della confessione, Io fui testimone della sincerità del loro pentimento ed è evidente che una grazia straordinaria operava nei loro cuori.




A trent’anni Caterina aveva imparato a leggere i Salmi ed ecco il miracolo come testimonia fra Raimondo da Capua. L’episodio è raccontato dal suo confessore nella legenda Maior. Caterina gli aveva riferito che aveva avuto il dono di saper scrivere dopo un’estasi. «Così, dormendo, cominciai a scrivere».

Caterina era in grado di fare incredibili digiuni e una volta si astenne dal cibo per cinquantacinque giorni, in preparazione spirituale di una festa religiosa.

Caterina poi quando cadeva in una delle sue estasi, si estraniava nella preghiera, non sentiva più nulla, era come se uscisse dal corpo che poteva essere malmenato, punzecchiato e persino preso a calci. Lei non se ne accorgeva. Capitò che addirittura la scaraventassero fuori dalla chiesa, su un ammasso di pietre.

Nel 1374 a Siena scoppiò la peste bubbonica, il flagello della malattia aveva trasformato la casa di Caterina in un lazzaretto. Caterina accorreva in ogni dove, di giorno e di notte pronta a ogni richiamo. Anche il suo confessore fra Raimondo da Capua ne è contagiato. Lui stesso più tardi racconta gli avvenimenti. Descrive i sintomi della malattia, poi la corsa disperata, sorretto da un altro frate fino alla casa di Caterina. Caterina non c’è, il poveretto in preda alla febbre e al delirio si accascia sul pavimento ormai certo che morirà. Caterina rientra, vede il suo confessore in quello stato, si butta in ginocchio e prega. È convinta che solo in quel modo possa aiutarlo. Miracolosamente fra Raimondo guarisce e in seguito raccontò che aveva avuto la sensazione di sentirsi strappare via dal corpo il bubbone e il male.

Qualche giorno dopo, un altro domenicano, fra Matteo, rettore dell’Ospedale della Misericordia, ha la stessa esperienza, Ha contratto la peste, è in fin di vita, steso su un giaciglio con le membra scosse dall’altissima febbre e con il bubbone al petto. Caterina va in suo soccorso, con fede prega il Signore per la guarigione. E fra Matteo si alza guarito e va a portare soccorso agli altri appestati.




Fonte digilander.libero.it/raxdi

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