Se vi siete guardati qualche volta nello specchio durante questi mesi, concorderete con me nell’affermare che lo studio eleva lo spirito… ma degrada tutto il resto.
Quando sei sotto esame, dimentichi di essere un uomo/donna e inizia una lenta e inesorabile metamorfosi. La tua stanza diventa una caverna e tu un orso, esci solo per cibarti e dissetarti, sempre notando come l’aria “fuori” sia più fresca e pura di quella all’interno. La tua stanza-caverna diventa un luogo eremitico, un rifugio sicuro immerso in un caldo tepore che tua madre chiama “aria viziata”, nonostante tu cerchi di spiegarle che l’unico vizio che ti stai concedendo ultimamente sia il cibo ipercalorico e, pare, ricco di endorfine che sollevano l’umore. Dalla caverna, ti concedi solo sporadiche – così dovrebbe essere, ma in realtà sono frequenti – occhiate fuori dalla finestra reale o finestra-computer, cioè Facebook, dove noti, con un certo disappunto, come la vita del mondo vada avanti mentre tu resti in clausura.
Quando esci dalla caverna, emetti sono brontolii infastiditi, perché il resto del mondo, con cui non sei più abituato a rapportarti, genera una sorta di fastidio nella tua mente sovraccarica di nozioni nuove. I tempi di reazione si dilatano, diventano difficilissime anche domande basilari come “Cosa vuoi mangiare per pranzo?”. Non sopporti discorsi troppo complicati, a cui reagisci con scuotimenti di testa e borbottii indistinti. La tua mente affaticata vaga negli universi paralleli dei libri, che infestano i tuoi pensieri a ogni ora del giorno. Il corpo, intanto, diventa un’entità a sé stante e indipendente. Ecco che è avvenuta la scissione. Mentre lo spirito si eleva verso le altezze olimpiche nel mondo della cultura, il corpo, trascurato e molto risentito per questo, si lascia andare di conseguenza. Tenti di salvare il salvabile con qualche capatina in palestra, se non altro per ricordare al tuo sedere che deve essere tondo e sodo come un melone e non assumere la forma bidimensionale della sedia.
Fino a che, cominci a vedere lontano come un miraggio il giorno dell’ultimo esame e parte il conto alla rovescia. Tra una settimana a quest’ora sarò in vacanza, tra quattro giorni a quest’ora, tra due giorni tredici ore e qualche minuto… E poi, infine, arriva, il momento in cui tutto finisce, stringi la mano al professore, ti alzi dalla sedia – il tuo sedere le aveva già fatto una proposta di matrimonio – e cammini via, verso le vacanze. Immediatamente, s’innesca il processo opposto: il corpo si risveglia, si sente euforico, energico, vitale, mentre la mente, prossima al letargo, comincia a ripetere solo due parole, vacanza, sonno, vacanza, sonno.
Non facciamoci illusioni, noi esseri umani non siamo progettati per mantenere a pieno regime sia la mente che il corpo, nel momento in cui uno dei due mette il turbo, l’altro deve inevitabilmente decelerare. Potremmo interrogarci a lungo sulla ragione di ciò. Forse il motivo è che se fossimo tutti fisicati-cervelloni non ci sarebbero più persone da mandare ai reality in tv.
In effetti, la vita è tutta una lotta per la sopravvivenza. Così, come sull’Isola dei famosi ci sono persone che “lottano per sopravvivere” – mentre il resto del mondo spera che la selezione naturale faccia il suo corso – così anche gli studenti universitari lottano, sessione dopo sessione, per terminare gli studi. E se i diversamente-famosi riescono a tornare sani e salvi dall’isola nonostante le palesi carenze cerebrali, allora i casi sono due: o Darwin si è sbagliato e alla fine i dementi conquisteranno il mondo, oppure anche noi studenti riusciremo a sopravvivere all’università. Io propendo per la seconda, perché sono un’inguaribile ottimista.
Fonte. Cogito et Volo
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