Sulla ”Buona scuola” premier in retromarcia

A poche ore dal Consiglio dei ministri che dovrebbe varare il disegno di legge sulla Buona scuola (contro cui oggi gli studenti scenderanno in piazza in tutta Italia), sono ancora tanti i nodi da sciogliere al vaglio del Dagl, il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio. A partire dalla stabilizzazione dei precari, sul cui numero non c’è ancora certezza, dopo le “cifre” circolate nelle ultime settimane, che andavano da un minimo di 50mila assunzioni a un massimo di 180mila (entro il 2018). Sembra, comunque, che le assunzioni non saranno le 150mila inizialmente previste dal progetto, ma dovrebbero assestarsi intorno alle 100mila. 

Ieri pomeriggio, rispondendo al question time alla Camera, il ministro per i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, ha confermato l’impegno di Palazzo Chigi a stabilizzare i precari «a partire dalle Gae e dai vincitori del concorso 2012». Se così fosse, resterebbero esclusi i docenti delle graduatorie di istituto e gli idonei del concorsone bandito dal ministro Francesco Profumo, scenario che ha già provocato la ferma opposizione del sindacato. A complicare ulteriormente la situazione, è intervenuta una sentenza del Consiglio di Stato, che, accogliendo il ricorso delle associazioni Adida e La voce dei giusti, ha sospeso un’ordinanza del Tar del Lazio, ammettendo nelle graduatorie ad esaurimento altri tremila precari prima esclusi. E scompaginando ulteriormente i piani del governo. Su tutto poi, incombe la sentenza della Corte di giustizia europea dello scorso 26 novembre, che obbliga l’Italia ad assumere a tempo indeterminato tutti i precari della scuola con almeno 36 mesi di servizio. Secondo il ministro Boschi, la questione si restringerebbe a «una platea di soli duemila docenti ». Numeri ben maggiori sono quelli dei sindacati, che parlano di 250mila lavoratori da stabilizzare e ricordano le (numerose) sentenze dei giudici del lavoro che, in questi mesi, hanno disposto assunzioni e risarcimenti danni anche di 100mila euro a ricorrente. 

Al centro del vertice dell’altra sera tra il premier Matteo Renzi e il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini (che sarebbe uscita «avvilita» dall’incontro per le tante questioni ancora aperte dopo sei mesi di dibattito nel governo e nel Paese) c’era anche la questione della valutazione degli insegnanti a cui legare gli avanzamenti di carriera. Su questo punto, Renzi (fortemente sollecitato dalla minoranza interna del Partito democratico) sarebbe intenzionato a compiere una sostanziale retromarcia. A farne le spese dovrebbe essere l’accordo, a suo tempo trovato nel partito, sulla proporzione 70-30: 70% di scatti di “competenza” sulla base della valutazione del lavoro dell’insegnante e 30% di scatti di anzianità. In queste ultimissime ore il premier si sarebbe convinto a mantenere gli scatti di anzianità, venendo così incontro alle richieste della sinistra Pd e della Cgil, ma scontentando quella parte di maggioranza (Ncd e Area popolare) che invece 


punta sul rafforzamento della valutazione dei docenti. Nel “pacchetto” spunta anche la Carta del prof., con 400 euro per tutti i professori per il primo anno, che potranno essere spesi solo per consumi culturali (libri, teatro, concerti, mostre, audiovideo telematici).

Rischiano invece di uscire del tutto dalla Buona scuola i percorsi di formazione professionale, che pure riguardano 300mila studenti, 
pari all’11% del totale dei giovani che si iscrivono alla scuola secondaria di II grado. Su queste scuole pesa il (pre)giudizio («La formazione professionale serve soltanto a pagare i formatori»), lanciato in occasione delle primarie del Pd dallo stesso Renzi, che pare non abbia cambiato idea. Infine, un ripensamento complessivo riguarderebbe anche la detrazione fiscale delle rette delle paritarie. Nell’ultima versione del testo che sarà sottoposto ai ministri, le detrazioni sarebbero limitate soltanto alle scuole del primo ciclo, cioè le elementari e le medie, mentre ne resterebbero escluse le superiori. Secondo il governo, in questo modo si contrasterebbe il fenomeno dei cosiddetti “diplomifici”. Penalizzando, però, migliaia di scuole serie che non hanno nulla da nascondere.

A cura di Redazione Papaboys fonte: Avvenire

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